La Samaritana
Invece di andare a scuola, Jae-Young, aiutata dall’amica Yeo-Jin, si prostituisce per raggranellare i soldi per un viaggio in Europa. Un giorno, per sfuggire alla cattura da parte della polizia, precipita da una finestra del secondo piano e muore. Yeo-Jin è sconvolta e per espiare il senso di colpa per non aver fermato in tempo l’amica, decide di andare con tutti gli uomini con cui era stata Jae-Young e restituire loro i soldi che le avevano dato. Ma il padre la sorprende mentre è con un cliente e inizia a seguirla, cercando di impedire gli incontri con gli amanti e vendicandosi poi su questi. Per imbastire la storia de La Samaritana, suo penultimo film che per gli scherzi della distribuzione arriva in Italia un anno e mezzo dopo l’incantevole Ferro 3, Kim Ki-duk prende spunto da un drammatico fenomeno sociale che in Corea è ormai diffusissimo: la prostituzione di studentesse, soprattutto della media borghesia, alla ricerca di soldi facili e veloci per comprarsi l’illusione di una vita migliore. Ma il regista coreano non è interessato alle analisi sociali, preferisce indagare i recessi dell’animo umano scandagliandone le profondità e scalandone i picchi. E Kim Ki-duk sorprende ancora una volta per lo straordinario linguaggio del suo cinema e per la profonda e intensa semplicità con cui riesce a raccontare storie al limite del reale senza scadere nella banalità poetica o indugiare nella metafora fine a se stessa. Amore, morte, colpa, espiazione, perdono, vendetta, violenza sono gli ingredienti che si impastano nell’eleganza formale della messa in scena, prendono forma in personaggi irreali, inquieti, astratti e si cristallizzano nei loro gesti estremi, voluti e disperati. Per Kim Ki-duk le due ragazze sono le facce della stessa medaglia, e vivono, ognuna a suo modo, la propria scelta come missione salvifica: portare in dono la felicità a favore di un’umanità dolente. In un poetico, grottesco cambio di prospettiva, il regista riesce a rendere la loro degradazione solo apparente, gettando su un’umanità in sfacelo uno sguardo pietoso e trasognato che non giudica, non condanna e non assolve. Sarà il destino, alla fine, a seguire il suo corso, conducendo i protagonisti a confrontarsi, con un’ineluttabilità tipicamente orientale, con le proprie colpe e i propri imperdonabili errori. Regia di Kim Ki-duk; con Kwak Ji-min, Lee Uhl, Seo Min-jung.