La saga dei Cabassi
L’ho vista per la prima volta al Forum di Assago, un grande centro congressi alle porte di Milano: era fra la folla, non distinguibile se qualcuno non me l’avesse indicata: Sai, quella signora là in fondo è Laura Cabassi, proprietaria del Forum. Sono rimasta stupita, mi sarei aspettata di vederla in prima fila fra le autorità, visto il suo ruolo. Sapevo che i Cabassi erano notissimi imprenditori e costruttori milanesi, artefici di Milanofiori e di altre grandi e belle realtà immobiliari. Ho deciso di conoscerla e in altre occasioni l’ho avvicinata, conoscendo a poco a poco la sua storia straordinaria, che solo ora ha accettato di rendere pubblica, uscendo dalla sua naturale ritrosia. Nel 1940, quando sono nata, abitavamo a Milano ma allo scoppio della guerra la nostra casa fu bombardata; papà portò me e mia mamma in Liguria, ad Alassio, dove restammo tre anni. Tornammo a Milano l’ultimo anno di guerra e ricordo le notti passate in rifugio, mentre mio padre stava sul terrazzo a guardare i bombardamenti: mi sembrava un eroe. In quel periodo, abbracciando papà, sentivo strani profumi provenire dal taschino della sua giacca: erano quelle che chiamava cartine, in quanto durante la guerra aveva iniziato a lavorare con le essenze, aprendo una fabbrica vicino a Bordighera. Laura, figlia unica, era la sua consigliera, assieme alla mamma: accanto ai profumi iniziò la produzione di dentifrici, creme, prodotti per bambini, con marchi noti come Clorodont, Vasenol, Trim, Durban’s. Vissuta fra gli agi, si vergognava di fronte alle sue amichette e in prima elementare, quando la mamma le metteva una pelliccetta di gatto molto ammirata dalle sue compagne, se la toglieva e la nascondeva prima di entrare in classe: Spesso le cose in più che avevo mettevano una barriera tra me e loro e volevo evitarlo… Più tardi capii che c’era un modo perché queste cose non mi impedissero amicizia e gioia: metterle a disposizione di tutti. Così ho fatto nel tempo con il motoscafo al mare, la piscina, il tennis, i cavalli della nostra villa in Brianza. Nel 1954 una brutta caduta da cavallo fu l’occasione per non praticare più questo sport, a cui l’aveva avviata suo padre, ex ufficiale di cavalleria. I cavalli furono venduti al signor Cabassi, conoscente del padre, che li acquistò per il figlio. L’anno dopo venni a sapere che il signor Cabassi era morto giovane e che la moglie con i due figli sarebbe venuta a cena da noi. Così conobbi Pino, di 27 anni, 11 più di me: mi affascinò anche sua madre, terziaria francescana e intelligente imprenditrice. Io e Pino ci sposam- mo dopo solo sei mesi e celebrò il matrimonio l’allora arcivescovo di Milano cardinal Montini. Pino era imprenditore e costruiva cose belle, come diceva lui, ma a differenza del papà di Laura passava pochissimo tempo in famiglia. Tra una gravidanza e l’altra (otto figli in pochi anni) era lei che andava a trovarlo sui cantieri per riuscire a parlargli: Tornò in me quel malessere avvertito da ragazza: la villa di quattro piani, con sei persone di servizio, il palco alla Scala, l’obbligo di vestirsi in modo elegantissimo mi pesavano; soprattutto mi pesava la mancanza di dialogo con mio marito, mentre mi aiutava l’immenso amore di mio padre. Alla sua morte, nel 1971, mi sentii completamente sola. In quel tempo una sola persona, Ile, riusciva a darle conforto: l’aveva conosciuta quando era venuta a proporle un abbonamento al giornale Città nuova; l’aveva poi seguita a un convegno al Grattacielo Pirelli, e lì aveva capito qual era l’amore che cercava da sempre. Raccontò questa scoperta a suo marito, che però restò freddo: Ero esasperata dal suo atteggiamento, mi sembrava di non riuscire più nemmeno ad amare i miei figli. Ma continuai a frequentare quel gruppo di nuovi amici, con la certezza di aver trovato un tesoro. Cercavo di portare l’amore che ricevevo da loro anche in famiglia, incominciando dalle piccole cose di tutti i giorni, non aspettandomi più di essere amata ma cercando di amare sempre per prima. Anche Pino a poco a poco cambiava, dedicava più tempo alla famiglia, stava con i figli quando Laura usciva per qualche incontro e fra padre e figli si creò un rapporto fortissimo, così come fra marito e moglie era rinato più forte l’amore: Cambiammo casa e non avemmo più bisogno di tanti aiuti, tutti avevamo imparato a cavarcela da soli, anche in cucina. Il palco alla Scala non serviva più, potei vendere pellicce e gioielli e tanti quadri, dando il ricavato a chi ne aveva bisogno. Proprio quando tutto sembrava andare per il meglio, Pino si ammalò di una grave malattia: Aderì subito alla volontà di Dio e mi rimproverò vedendomi piangere, dicendo: Prepara un bel pranzo, dobbiamo dirlo ai ragazzi e non essere tristi. Triste non fu mai durante i tre anni di malattia, ma alla sua partenza, nel 1992, mi trovai per la prima volta in prima linea come imprenditrice: avevo 52 anni, otto figli (il più grande di 34 anni, la minore di 10), dei quali cinque maschi, con caratteri e attitudini allo studio e al lavoro molto diversi. Iniziavano i veri problemi, soprattutto economici: La situazione della Sintesi, la società che conteneva anche parte del patrimonio lasciatomi da mio padre, era molto delicata, avendo mio marito, pochi mesi prima di ammalarsi così gravemente, preso grossi impegni con il sistema bancario. Appena lui non ci fu più compresi che gli impegni bancari erano diventati debiti da pagare al più presto. Si arrivò ad un accordo in base al quale la famiglia Cabassi aveva sei anni di tempo per lavorare, vendere con calma e continuare l’attività imprenditoriale dopo aver saldato il debito, se si fosse riusciti a farvi fronte: Sono stati per me momenti veramente difficili: chiedevo continuamente aiuto allo Spirito Santo per capire quale fosse il meglio sia per la crescita umana dei figli sia per la continuazione dell’azienda, così come anche mio marito aveva sempre desiderato. Erano gli anni di Tangentopoli e si scoprì che Pino Cabassi non era mai sceso a compromessi con nessuno, nemmeno quando aveva dovuto costruire ad Assago, perché a Milano non riusciva più ad ottenere permessi: Alcune volte ai miei figli, andando ai bar o ai ristoranti intorno a Milanofiori, non era permesso di pagare il conto perché i titolari dicevano: Papà mi ha fatto comprare la casa o il ristorante. Eravamo tutti orgogliosi. Dopo sei anni di quotidiane difficoltà, con la vendita di alcune delle più belle aziende e con un riassetto generale che portò i dipendenti da circa 2 mila a 600, senza quasi licenziamenti (come voleva Pino), la Sintesi era in grado di ripartire e di diversificare le attività: Dal Forum di Assago, di proprietà, prendemmo in gestione i palazzetti di Pesaro e di Livorno e il palazzo dell’Eur di Roma. La cosa più impegnativa è stata quella di mantenere l’armonia fra i fratelli che lavoravano in azienda; quando dopo i sei anni ci siamo trovai a fare i piani per il futuro sono cominciati altri problemi per me e per loro. Laura aveva la responsabilità ultima delle decisioni, le idee dei suoi figli erano spesso geniali ma non sempre c’era fra loro coincidenza di vedute, così che anche i collaboratori erano a volte disorientati: Mi pareva che alcuni dei miei figli, obbligati a sottostare alla crescita dell’azienda, fossero soffocati nella loro realizzazione personale. Con mio marito avevamo invece sempre desiderato la crescita umana di ciascuno di loro, nel rispetto della crescita e dello sviluppo dell’azienda. Dopo aver percorso invano varie strade per due anni, Laura decise di rinunciare alla maggioranza delle azioni, che erano in capo a lei, dividendole fra tutti e procedendo a un’asta pubblica alla quale potessero partecipare anche i figli: Quattro di loro hanno rilevato l’azienda, trovandosi finalmente d’accordo; gli altri quattro hanno avuto la disponibilità per iniziare nuove attività a loro più congeniali. A distanza di qualche anno mi pare di poter dire che le decisioni prese siano state giuste e siamo tutti d’accordo che in questi quindici anni papà ci ha dato una mano dal Cielo.