La saga degli Atridi secondo Antonio Latella
La lunga scena è un vano domestico delimitato da una parete laterale con 5 porte, qualche divano, una piccola cucina, un frigo, due grandi specchi frontali che riflettono il pubblico, e altri oggetti e arredi che si aggiungono o si sottraggono col trascorrere degli eventi. Seduti attorno a un tavolo un gruppo di attori con dei copioni in mano, è alle prese con la lettura, in prova, dell’Ifigenia in Aulide, da Seneca ed Euripide. Di lì a poco la sequenza si tramuterà in una squassante messinscena originata dal conflitto tra i due fratelli Tieste e Atreo, la maledizione e l’antico peccato di hybris di Tantalo, tramandato di padre in figlio.
È la sindrome della guerra a ricordarci il prezzo non simbolico pagato da Agamennone col sacrificio della figlia agli dei, per evocare il vento necessario a fare salpare le navi della spedizione punitiva contro Troia. Entriamo così nelle vicende pubbliche e private di un gruppo di famiglia in un interno nel quale si squarcia un mondo tragico di uomini e dei. Questo l’inizio di Santa Estasi, monumentale progetto di Antonio Latella dedicato ad alcune figure della tragedia greca. Otto ritratti di famiglia, come recita il sottotitolo: quella degli Atridi. Si scandaglia nella loro vita privata, nelle vicende personali e pubbliche, nelle reazioni emotive e nelle implicazioni di azioni e scelte, uccisioni, tradimenti e inganni, che determineranno la storia di una dinastia. L’estasi cui allude il titolo del progetto indica un andare fuori, al di là di sé stessi. Un’esperienza connessa alla divinità Dioniso, al teatro, ai riti misterici e che implica una trasformazione. Ecco allora che entra in gioco il teatro come catarsi, come purificazione ottenuta grazie all’entrare e uscire da sé.
Scardinando ancora una volta i meccanismi teatrali e produttivi, Latella ha compiuto un’altra delle sue sperimentali e spiazzanti imprese, frutto di un lungo lavoro di 5 mesi in qualità di pedagogo, con 16 giovani attori, allievi specializzandi del Corso di Alta Formazione dell’Ert-Emilia Romagna Teatro, coinvolti anche nel processo creativo. Diventato spettacolo nel 2106, ha superato ogni attesa imponendosi come opera compiuta, riconosciuta in modo unanime da critica e pubblico, vincendo il Premio Ubu 2017 ( “Spettacolo dell’anno”, e premio per la categoria “Nuovo attore, attrice o performer, under 35” all’intero cast), ospitata anche al Festival d’Avignone, e al Piccolo di Milano. Lo spettacolo è concepito in 8 quadri autonomi ma che compongono un unicum, una maratona di 16 ore, appassionante evento esperienziale.
Oltre alla messinscena di geniale creatività nella semplicità dei mezzi che utilizza un’attrezzeria ricavata da precedenti allestimenti (tra cui un enorme unicorno da giostra), e alla generosa resa dei bravissimi giovani attori, l’operazione più interessante è l’aver “osato”, con esiti felici, la riscrittura o l’adattamento delle tragedie classiche – soprattutto di Euripide – affidandole al talento di 7 diversi giovani drammaturghi che hanno lavorato in diretta, fianco a fianco col regista e gli attori, maturando una rielaborazione di linguaggio che, con esiti diversi, esplora i confini della tragedia classica, immettendola in un oggi che cancella la distanza del tempo, ne prolunga il significato, fino a toccare scienza ed etica. Un rispecchiamento che è incontro-scontro con la cultura odierna e il senso del tragico. Destituiti di ogni dignità eroica i personaggi della grande saga borghese degli Atridi assomigliano al nostro presente in forza di un’umanità che, partendo dalle colpe dei padri e dalle maledizioni perpetrate, li coglie nelle loro debolezze e volubilità, dubbi e certezze, desideri e paure, in un combattimento tra vita e morte.
Si parte dall’Ifigenia in Aulide, dal Tieste di Seneca e di Euripide, cui seguono Elena, Agamennone, Elettra, Oreste, Eumenidi, Ifigenia in Tauride, e infine Crisòtemi. C’è tutto lo spessore tragico nell’andamento visionario, spesso parodistico, tra gag e pathos, che si sussegue tra un capitolo e l’altro, impossibile da descrivere scenicamente per l’accavallarsi di azioni di grande inventiva – che è sfida continua con la parola –, con personaggi ricorrenti, come Agamennone e Menelao, Oreste e Clitennestra, attori in più ruoli, cambi a vista, incursioni tra il pubblico, entrate e uscite. E canzonette come Cicale, o Yellow submarine, e Dance me to the end of love; suoni, rumori e ronzii di zanzare; urla al microfono. Sono da ricordare, almeno, alcune sequenze: i baci furiosi fra Elettra, Oreste e Pilade; il coro all’unisono gridato in greco con movenze di danza e colpi di bastoni; i due stralunati messaggeri in tenuta da tennis; l’incontro emotivo tra Oreste e la madre che lo coccola sulle sue gambe mentre lui la uccide pettinandole i capelli e poi mettendole la testa dentro il forno della cucina; l’arrivo di Menelao in veste di bagnante con collana di fiori e bandana; la lenta vestizione da parte di Elettra del corpo morto di Agamennone sopra un tavolo e il ballo tra i due. E non si smetterebbe di descrivere.
L’ultimo capitolo, Crisòtemi, si sofferma su un personaggio mai indagato dai tragediografi, ora oggetto di una nuova scrittura di Linda Dalisi, dopo l’unica esistente nel poemetto del poeta greco Ghiannis Ritsos. Un po’ come Ismene rispetto ad Antigone, così Crisòtemi sta a Elettra, apparendo nella tragedia dedicata da Sofocle al suo furore vendicativo, come la sorella passiva. Ritsos le fa dire: «Perdono. Scusatemi, scusate quest’essere insignificante, che non ha alcuna azione di cui andare fiera…». La tempra dolce, remissiva, non eroica, della quarta figlia di Agamennone e Clitennestra ne fa un personaggio senza alone tragico o ancor meno mitico, testimone non protagonista della storia perché mancata complice di Elettra e Oreste nel cruento Putsch famigliare contro la destabilizzazione di Egisto in combutta con la regina madre. L’indole di una Crisòtemi sensitiva e innocente, e mai integrata, quel suo attaccarsi a particolari innocui, le conferiscono una disinvoltura colma di stupori e dolori che la rendono apparentemente “semplice”. Linda Dalisi la chiama “la figlia che non c’è”. Ce la restituisce una vibrante Giuliana Vigogna, uscita da un armadio in uno struggente monologo di affascinante levità, una scrittura di classicismo frugato nelle cicatrici belle e misteriose, tra rumori di piatti e bicchieri mentre imbastisce la tavola per “il pranzo che non si farà”. Mentre sistema le sedie, parla prima al padre seduto e silenzioso, infine con tutti gli altri fantasmi della famiglia rievocando gli eventi luttuosi cui lei ha assistito, e assestatisi in una memoria che li attenua. Fatti che vuole cancellare dal ricordo. L’arrivo lento e muto dei commensali, e il sistemarsi di Crisòtemi in braccio al padre, succhiando al suo seno, suggella uno spettacolo memorabile.
“Santa Estasi. Atridi: otto ritratti di famiglia”, progetto speciale diretto da Antonio Latella; interpreti Alessandro Bay Rossi, Barbara Chichiarelli, Marta Cortellazzo Wiel, Ludovico Fededegni, Mariasilvia Greco, Christian La Rosa, Leonardo Lidi, Barbara Mattavelli, Gianpaolo Pasqualino, Federica Rosellini, Andrea Sorrentino, Emanuele Turetta, Isacco Venturini, Ilaria Matilde Vigna, Giuliana Vigogna; drammaturghi Riccardo Baudino, Martina Folena, Matteo Luoni, Camilla Mattiuzzo, Francesca Merli, Silvia Rigon, Pablo Solari; drammaturghi al progetto Federico Bellini e Linda Dalisi; allestimento e costumi Graziella Pepe; musiche Franco Visioli; luci Tommaso Checcucci; duelli, movimenti e coreografie Francesco Manetti; progetto video Lucio Fiorentino. Produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione. Sul sito www.emiliaromagnateatro.com alla pagina ERTonAir, ogni giorno un capitolo alle ore 18. Disponibile fino al 30 giugno.