La ruota e la vetrata
Che i giovani nipponici siano più attratti dal look della trasgressione che da quello dell’integrazione, che il modello d’autorità imperiale sia in discussione sotto la pressione del più violento consumismo, che ci siano schegge impazzite atee e nichiliste… Tutte ragioni che fanno dire che il moderno modello giapponese basato in massima parte sul lavoro e sul successo professionale, è in crisi. Crisi nera. Non lo dice il cronista, ma lo affermano autorevoli esponenti dello stesso mondo buddhista (vedi Città nuova, n° 12/2006), sensibili al decadimento della loro società e coscienti che la responsabilità di una rinascita sociale ricade in primo luogo sulle spalle del buddhismo, corrente di pensiero filosofica – che si può definire con cautela una religione – che nel Giappone ha trovato una delle sue massime espressioni. Per capire un po’ la situazione, ho visitato i luoghi simbolici di tre espressioni buddhiste giapponesi che alla prova dei fatti risultano assai diverse: il Monte Hiei, luogo di nascita della tradizione tendai: un buddhismo che integra e non esclude; il tempio Myokenkakuji ad Osaka: un buddhismo invece che trova la via per l’impegno sociale; la sede a Tokyo del movimento della Rissho Kosei-kai: un buddhismo, infine, laico e moderno. Per un’etica imprenditoriale Il rev. Nissho Takeuchi, presidente del tempio Myokenkakuji di Osaka, è uomo di grandi iniziative, che passa il suo tempo a insegnare in ambiti imprenditoriali per portare i suoi interlocutori a incarnare i princìpi di vita del buddhismo e i suoi valori universali. La sua è una vicenda emblematica, che apre squarci sull’oggi. Quando avevo due anni – mi spiega -, mio padre lasciò mia madre. Mi sono sentito abbandonato. Era figlia del proprietario di un tempio a Kobe, e ne diventò la sacerdotessa. A 15 anni ho vissuto nel tempio principale del buddhismo nichiren, al Monte Minobu. Ho capito che la causa di quello che ti succede sei tu stesso. Ho cercato di fare in modo che il mio sistema di valori corrispondesse a quello proposto dal buddhismo, e così la realtà è cambiata attorno a me. Così ho capito che non dovevo odiare. Da quel momento i miei complessi sono spariti e ho raggiunto il Buddha. Takeuchi è diventato monaco nel piccolo tempio della madre, prima di costruirne uno nuovo a Osaka. Ha pure fondato un movimento per la pace. Mia madre – mi conferma – mi aveva lasciato un testamento, avendo sofferto in modo atroce per la guerra: pregare per i morti in guerra e per la pace. Ho cercato di farlo. Da qualche anno Takeuchi ha aperto un suo centro in Germania. L’ho costruito per aprire un vero dialogo interreligioso – mi spiega -, che penso sia necessario per trasmettere valori di pace e interdipendenza alla società intera. Voglio che non ci sia solo dialogo tra gli uomini di religione, ma anche con le filosofie e le scienze. Perché se la religione sarà esclusa dalla società, se la sua forza unica sarà esclusa dalla vita sociale, non si raggiungerà mai la verità. E per far questo bisogna risolvere il problema della relazione tra la parte e il tutto. Come? Mettendo insieme principio di integrazione e principio di unità: non bisogna cioè mai ritenersi i soli a possedere la verità. La scienza ha tante discipline che non dialogano più tra di loro… Mentre esiste un’interfaccia tra di esse, luogo dove si risolvono i problemi. Serve interdisciplinarietà. Mi aspettavo di alloggiare in una cella monacale, ma mi trovo in realtà in un’abitazione curata nei minimi dettagli, accanto ai templi del Monte Hiei, culla e centro del buddhismo tendai. Vi si trovano antichi luoghi di culto che occupano la sommità di collinette o la nicchia di vallicelle verdeggianti, tra statue del Buddha e steli votive. Il tutto immerso in una vegetazione curatissima, espressione dell’arte del giardino votivo, luogo dove trovare il modo di pregare, di fondersi con la natura, di penetrare nella profondità di sé stessi. È vero. Il buddhismo non ha una concezione personalistica della divinità, anche se quello giapponese sembra in qualche modo avvicinarsi ad esso; ma ha un fortissimo senso della sacralità. Sul Monte Hiei ci sono circa cento luoghi di preghiera, all’interno degli altrettanti chilometri del suo perimetro. Nel luogo del tempio principale, il cui nome significa sorgente importante, il vecchio saggio Saicho- arrivò 1200 anni addietro: Ha cominciato con una capanna per evitare le intemperie – mi spiega il monaco Kobojan -, e ha scoperto che questo è il luogo dove si prega e dove si guarda bene dentro sé stessi. Risvegliarsi alla potenza che ognuno ha in sé, questo è l’insegnamento del Buddha. Non penso che ci siano persone uguali, ma ognuno di noi ha la sua potenza insospettabile. La divinità è luce e fuoco. È per questo che sul Monte Hiei da 1200 anni arde il lume che non si spegnerà mai. I monaci susseguitisi al Monte Hiei hanno contribuito a tenere accesa la fiamma, per preservare la memoria di Saicho-. Dopo la suggestiva preghiera mattutina, eccomi al Tempio della terra pura, Jo-do in, circondato da un giardino di ghiaino pettinato a spirale, dove è stato sepolto il fondatore, nell’822. Saicho- Dengyo- Daishi ha voluto lasciare qui la terra, santo tra i santi. Il monaco che ora vive qui, Jishin, deve rispettare i duri precetti ascetici voluti dal fondatore. E non a caso è proprio qui che i candidati monaci affrontano i 12 anni di isolamento previsti dal loro corso di studi e meditazione. Appena giunto sul posto, una melodia tantrica giunge ai miei orecchi attraverso le fessure d’un tempietto di legno: è la voce dei monaci che non possono essere visti. Jishin, che custodisce il santuario, mi fa avvicinare ad una sorta di botte di legno. La scoperchia. Dentro, su un letto di sabbia uniforme, è tracciato un percorso in parte incenerito, in parte ancora del color dell’ambra. È incenso. Lo accendo ogni mattina alle tre, e deve rimanere acceso fino alle 5 del pomeriggio. È anche questa una sfida per dimostrare quanto la vita sia tutta una questione spirituale. Dinanzi ad una statua di Saicho-, ecco una grande vasca bianca circolare nella quale, il 16 marzo, giorno della Preghiera per la pace, vengono bruciate le orazioni scritte su foglietti di carta rosa che la gente deposita in quell’anno ai templi del Monte Hiei. Il buddhismo tendai crede nel dialogo tra fedeli di religioni diverse. Fede e tecnologia È indiscutibilmente il giardino attiguo alla stupa, alla monumentale urna che contiene le ceneri di Nikkyo Niwano, che colpisce il visitatore. Un giardino in fondo assai piccolo, sovrastato da una imponente torre appena schermata da un ciuffo di alberi che il vento trasforma in un quadro impressionista. Ma in quelle poche migliaia di metri quadri c’è l’universo intero, c’è la terra con le montagne, i mari, le valli, le foreste, i deserti, le steppe. Ed è forse proprio lì che si può capire più che altrove il senso della tradizione che anima la Rissho Kosei-kai, movimento fondato appunto da Nikkyo Niwano, un uomo dalla vita assai travagliata e investito da un grande carisma personale, che ha saputo immettere nel tradizionale e in fondo statico panorama buddhista una chiara vena innovativa, centrata sulla necessità di vivere la propria Scrittura, in una forte vena comunitaria. Un movimento che conta alcuni milioni di fedeli. La sede centrale del movimento consiste innanzitutto in una grande sala, costruita dagli architetti della Rissho Kosei-kai seguendo gli insegnamenti del Lotus Sutra e i suoi simbolismi: i dodici pilastri, gli ostacoli alla santità, la circolarità e ripetitività dell’esistenza… Il tutto con un grande senso estetico, un imponente sforzo simbolico e una profusione di tecnologia all’ultimo grido. C’è poi un vasto edificio che ospita gli uffici, un centro per congressi e ospitalità, un centro multimediale, un’arena per le riunioni dei giovani. E poi tanti spazi all’aperto, arredati in modo squisito, gradevoli all’estetica ma anche alla meditazione. Un grande edificio a forma di pagoda attira la mia attenzione. Vuole essere un luogo di dialogo. Tutto è simbolico, negli ampi spazi moquettati del palazzo attraversato in tutta la sua lunghezza da un corridoio che va da occidente ad oriente. Se questo è rappresentato da una stilizzazione della ruota del Sutra, quello è invece racchiuso in una vetrata che riproduce – senza la colomba – la vetrata dello Spirito Santo del Bernini, nell’abside della basilica di San Pietro. Il dott. Kamiya è uno dei responsabili del movimento. Mi racconta come Niwano volesse dare quella felicità che aveva trovato nel Lotus Sutra. In seguito ha elaborato lo scopo secondario della pace. Altro fine è quello di promuovere un buddhismo laico per i laici: realizzare subito nel quotidiano, il pensiero del Buddha, a differenza dei monaci che si perfezionano prima di trasmettere la luce. Da alcun anni sono pure impegnati per il dialogo tra diverse espressioni del buddhismo. E hanno un impegno sociale e civile che non evita nessun ambiente, nemmeno quello della politica… Nostri membri e aderenti sono presenti sia nel parlamento nazionale che negli organismi rappresentativi locali – continua il mio interlocutore -. Altri politici sono vicini ai valori della Rissho Kosei-kai senza farvi parte. Lo scopo nostro è quello di portare la pace nel mondo attraverso una cultura di pace; ma serve un ambiente per farlo, per migliorare poi la so-cietà. Il nostro gruppo vuol essere uno di questi luoghi.