La rivoluzione sessuale
Nei Paesi cattolici, una delle cause – e insieme degli effetti – più clamorosi della secolarizzazione è stata la fine dell’egemonia della morale sessuale della Chiesa.
«È quel processo di modernizzazione noto con il nome di rivoluzione sessuale che, creando una cesura inedita fra vita sessuale e procreazione, ha cambiato la morale, i rapporti fra i sessi e le modalità del concepimento. Anche se è passato mezzo secolo dal suo farsi prassi concreta, nessuno ha però cercato ancora di scriverne la storia, tentando di avviare un primo bilancio su questo cambiamento che è uno dei più significativi della modernità. La rivoluzione sessuale rimane lì, come una sorta di ferita aperta, di cui si preferisce non parlare. Tanti arrivano addirittura a dubitare che sia mai avvenuta. Così i problemi che ne sono derivati vengono affrontati senza alcun tipo di approfondimento, soprattutto storico. Si sceglie, insomma, o di dare per scontato che tutto vada bene così com’è, con una situazione generale decisamente migliorata, o, al contrario, si crede che non ci sia nulla da fare ormai, per cui è inutile ripensarci. La rivoluzione sessuale, infatti, è uno dei tanti cambiamenti della modernità che abbiamo subito passivamente, quasi senza riflettere sulle conseguenze che ogni scelta compiuta avrebbe comportato per il futuro. Adesso però che stiamo vivendo questo futuro, possiamo e dobbiamo ripercorrerne il processo, per renderci conto di cosa è realmente accaduto. La rivoluzione sessuale è stata certamente una delle strade che ha preso quel cammino secolare che il sociologo Mauro Magatti ha definito «storia della libertà» per realizzare se stessi: dal momento che riguarda il corpo e la procreazione, cioè il cuore dell’umano, è stata la trasformazione centrale della modernità, e quindi anche del processo di secolarizzazione».
Questa rivoluzione si produce a metà Novecento, con l’invenzione della pillola anticoncezionale. Le sue origini, però, sono ben più antiche…
«Vanno ricercate a fine XIX secolo, ma forse anche prima, nel pensiero dell’Illuminismo e di de Sade. I primi a proporla come progetto sociale che doveva coinvolgere tutta la società sono stati gli eugenisti che, nel tentativo di selezionare la procreazione in base a categorie di salute e di miglioramento fisico-psichico, hanno visto nella possibilità di separare la sessualità dalla procreazione il modo per realizzare il loro progetto. Del resto questo imprinting eugenista sarà ricorrente in tutti i movimenti a favore del controllo demografico e dell’aborto. A cominciare dall’élite medico-statistica degli eugenisti, le proposte di liberalizzazione della morale sessuale sono state avanzate da gruppi di intellettuali che adducevano sempre ragioni scientifiche per fondare la loro proposta. A partire da Freud e dai suoi allievi, la psicanalisi ha criticato le varie forme di repressione dell’istinto sessuale, individuando in queste regole coercitive la causa di disturbi nevrotici individuali o, addirittura, collettivi. Fino ad arrivare, con Wilhelm Reich, profeta ascoltato del Sessantotto, a teorizzare che la repressione sessuale era la causa prima dell’aggressività, e quindi anche delle guerre. Gli antropologi, prontamente ripresi dagli esperti di una nuova disciplina, la sessuologia, hanno raccontato che nelle società primitive da loro studiate non esisteva una regola del comportamento sessuale: tutti erano liberi e felici, privi di nevrosi e di sensi di colpa. L’introduzione scritta dal sessuologo inglese Havelock Ellis al famoso libro di Malinowski sulla vita sessuale dei primitivi costituisce l’esempio più noto e importante di questa collaborazione, ripetuta poi da numerosi epigoni, fino al nostrano Luigi De Marchi. Alle teorie seguì presto l’analisi della realtà: soprattutto negli Stati Uniti, gli anni della Seconda guerra mondiale e quelli immediatamente successivi sono stati gli anni delle grandi inchieste che svelavano il comportamento sessuale degli americani».
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Resta comunque un dato sorprendente: contrariamente a ciò che potremmo pensare oggi, tutti questi testi non parlavano di libero amore, ma di pianificazione familiare.
«È vero. La diffusione degli anticoncezionali, così come la propaganda per la depenalizzazione dell’aborto, anche se costituì la condizione decisiva per la realizzazione della rivoluzione sessuale, fu condotta ricorrendo a una propaganda di tipo diverso: non si parlava di diritto al piacere, ma di pianificazione familiare. Non si attaccava la famiglia come istituzione repressiva, ma si presentava la pratica anticoncezionale come una salvezza per la coppia, giacché avrebbe evitato le tensioni che nascevano dalla paura di gravidanze indesiderate. Non si metteva in discussione l’attività procreativa, ma si prometteva la procreazione di figli desiderati, i quali, allevati con serietà e attenzione, sarebbero diventati esseri umani migliori. La diffusione degli anticoncezionali, del resto, si fondava anche su discorsi di più ampio respiro: si parlava molto della bomba demografica, che avrebbe condotto l’umanità alla fame e all’estinzione, si prometteva sviluppo economico e benessere a quanti avrebbero fatto meno figli. In questo tipo di propaganda, l’utopia non era quella della felicità e della fine delle nevrosi raggiunta con la liberazione dell’eros, ma la pace familiare, la nascita di nuove generazioni di figli migliori e, più in generale, la creazione di un mondo migliore privo di violenza e di infelicità».
«Rileggendo gli scritti degli anni Sessanta e Settanta oggi – hai ripetuto in più di una occasione – si ha l’impressione di una sorta di impazzimento generale, di fuga nell’utopia travestita da indagine scientifica».
«Oggi sappiamo che quasi tutte quelle sbandierate verità scientifiche erano infondate. Non era vero che i popoli primitivi vivessero felici nella totale libertà sessuale: avevano solo altre regole, diverse dalle nostre, che gli antropologi non erano riusciti a comprendere e che oggi, decenni dopo, sono state finalmente raccontate. Non è vero nemmeno che tutte le nevrosi nascano dalla repressione sessuale, né che l’aggressività sia frutto di una mancanza di soddisfazione sessuale. Oggi non lo sosterrebbe neanche il meno dotato degli psicologi! La prostituzione, del resto, non solo non è finita, ma si è considerevolmente ampliata, coinvolgendo in misura non trascurabile anche i minorenni». […]
Che eredità ha lasciato questo pastrocchio?
«Oggi vediamo chiaramente che quello che doveva essere un cambiamento che rafforzava la famiglia e migliorava la società ha avuto effetti opposti. Gli esempi che si potrebbero fare sono molti. Sarebbe del resto interessante approfondire i legami fra pedofilia e liberazione sessuale – basti ricordare l’esperienza educativa francese della École en bateau (scuola su una barca a vela) dove i bambini vivevano soli e nudi con i maestri per mesi interi senza contatti con la famiglia, scuola che è stata poi accusata di pedofilia da alcuni ex-allievi. Di fatto è diventata costume diffuso una promiscuità sessuale, non solo giovanile, che ha minato le basi della famiglia e mortificato le donne, che si sono dovute adattare a questa “liberazione” anche se non corrispondeva ai loro desideri. I figli “desiderati”, che oggi costituiscono più della maggioranza dei nati, non si sono rivelati migliori dei loro antecedenti: anzi, forse, peggiori, dato l’aumento del bullismo. La disgregazione del nucleo familiare ha colpito più duramente i ceti disagiati, e in particolare i loro figli».
Da Lucetta Scaraffia in dialogo con Giulia Galeotti, LA CHIESA DELLE DONNE (Città Nuova, 2015)