La rivoluzione libanese (senza odio)

Quarto giorno di proteste nel Paese dei cedri. Un milione di persone sono scese in piazza nella capitale, senza incidenti, senza bandiere di partito, ma con umorismo e fiducia. Oggi il premier Hariri dovrebbe dare le risposte attese dalla folla

 Cercando di penetrare il muro di folla che accerchiava simbolicamente la cattedrale maronita e la grande moschea, testimoni non mute della forza del popolo – il muezzin ha continuato a pregare e le campane a suonare –, mi sono ad un certo punto trovato stretto contro una vetrina. A quel punto una signora sulla quarantina mi ha fatto spazio su un predellino per consentirmi di respirare un po’. Inalberava con fierezza un cartellone scritto da lei a mano coi pennarelli che invocava: «Ora facciamo la rivoluzione», la saura, come scandiva la folla tutt’attorno. Si trattava di una donna che lavora in un supermercato, due figli senza marito, truccata come si deve, musulmana in terra cristiana, a Jounieh verso nord. Una donna che fa fatica ad arrivare alla fine del mese. M’è apparso evidente come la forza del popolo fosse indiscutibile, e che questa folla qualcosa otterrà. La situazione morale, politica ed economica del Paese è così deteriorata che qualcosa va fatto.

Nessuna bandiera di partito: ho visto un giovanotto mettere al collo un foulard giallo di Hezbollah, che addirittura gli è stato strappato, e dai suoi stessi amici. È la rivoluzione dei giovani, soprattutto, mentre i militanti adulti dei partiti sembrano totalmente spiazzati: ad Ashrafieh, quartiere cristiano per eccellenza, le Forze libanesi e Kataeb, i due partiti “cristianissimi”, hanno drizzato delle tende per cercare di catalizzare un po’ di gente che voleva scendere nella Piazza dei Martiri, ma facendo una figura un po’ ridicola, qualche centinaio di persone appena a bere caffè e mangiare manaisch al ritmo di una musica assordante, mentre giù si «faceva la rivoluzione» e lassù si «metteva in guardia contro il vuoto, perché la natura non ama il vuoto», come mi dice un combattente. Gli adulti, i figli della guerra, non riescono a capire l’attuale movimento: è impossibile per loro parlare ancor oggi con calma di politica, mentre i giovani non hanno le ferite ancora vive della guerra e quindi riescono ad essere meno faziosi, e più uniti.

libano protesteChe sia una rivoluzione incipiente lo dice paradossalmente anche il silenzio delle Chiese, in gran parte legate in mille modi al potere politico (sia da parte musulmana, che cristiana, che drusa), che si esprimono solo con qualche loro esponente più aperto, come il “bergogliano” nuovo metropolita di Beirut, maronita, che ha parole di grande apertura verso i manifestanti. Si risponde piuttosto con riunioni di preghiera, il che appare una buona cosa, buonissima, ma anche dettata dalla difficoltà a leggere il presente, la realtà.

Ma che la rivoluzione porti frutto non è per nulla garantito. Oggi Hariri, il premier sunnita, impegnato in queste ore in febbrili trattative con i partiti della coalizione governativa, sta cercando di mettere assieme un programma di riforme che presenterà, se tutto va bene, questa sera in televisione. C’è attesa, ma anche un certo scetticismo che l’attuale classe politica sappia rispondere adeguatamente alle richieste di una folla, composta da tutti gli strati sociali tranne dal 5-7 per cento dei ricchissimi e degli ammanicati con le varie congreghe del potere. I partiti agiscono in ordine sparso, non hanno il senso del bene comune, smarrito per strada in questi anni post-guerra civile. Probabilmente Hariri metterà nero su bianco un programma per elettricità, acqua, internet, immondizie, ma come realizzarlo?

La folla in tutte le città del Libano reclama un governo di tecnocrati, ma non si capisce chi potrebbe dargli forza costituzionale, visto che il presidente è una delle mire principale dei lazzi e degli slogan della folla. E il suo alleato Berry, altro politico considerato dalla gente più che corrotto, non promuoverà certo un governo di esperti, e così Hezbollah, ora saldamente nel giro del potere. Ma la fiducia nel futuro dei manifestanti è totale: «Intanto che il governo cada, poi vedremo», mi dice un giovane del nord. Un po’ di ingenuità, forse tanta. Ma il Libano ha delle risorse insospettabili che gli permettono di trovare soluzioni magari al limite del costituzionale, ma comunque utili per tirare avanti.

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