La rivoluzione gentile contro la “decrescita infelice”
La rivincita dei “bogianen” e il successo delle “madamine” (come erano state ironicamente battezzate le promotrici della manifestazione dai comitati No TAV e dal Movimento 5 Stelle prima della manifestazione): sono espressioni tipiche del dialetto piemontese quelle che tanti giornali hanno utilizzato per descrivere la manifestazione che si è tenuta l’11 novembre a Torino in sostegno della TAV.
Neanche la pioggerellina che da qualche settimana caratterizza le giornate torinesi ha fermato i manifestanti: rappresentanti delle associazioni di categoria, degli e del mondo industriale, corpi intermedi solitamente in guerra tra di loro. E poi operai, studenti e giovani (non certo la maggioranza), semplici cittadini. È una piazza difficile da colorare o definire, dove si cerca di esprimere la propria presa di posizione in maniera positiva.
Torino è una città che ha paura della “decrescita infelice”. Ha paura di tornare nell’isolamento da cui faticosamente si era tirata fuori dopo e grazie alle Olimpiadi Invernali del 2006. In città serpeggia ancora malcontento per la rinuncia alla candidatura alle Olimpiadi invernali e forse questa è stata anche l’occasione per esprimere non solo il sostegno alla TAV, ma anche un disaccordo di fondo con il Movimento 5 Stelle come “rivoluzione gentile” al “partito dei NO”, come si sente dire da più parti.
Così, mentre il ministro per le Infrastrutture Danilo Toninelli parla dell’istituzione di una commissione per lo studio dei costi-benefici dell’opera, «Torino scende in piazza per dire tanti sì – a partire da quello per la TAV -, che sappiano interpretare i bisogni della gente e che riscrivano il futuro di una città e di una regione», come scandiscono gli organizzatori. Dalla piazza arriva la richiesta di sincerità, senza agnelli sacrificali sull’altare della tenuta dell’alleanza di Governo.
Dal palco improvvisato su un camioncino viene scomodato perfino Cavour: «aveva capito tutto, era un consigliere comunale seduto nella Sala Rossa, oltraggiata da un voto contro lo sviluppo. E sapete cosa ha detto Cavour quando nel dibattito il 30% votò contro? Vittorio Emanuele II lo convocò dicendo: c’è contestazione; e Cavour rispose: sua maestà, noi dobbiamo governare anche per quelli che non capiscono». E ancora: «Se per caso ci fosse ancora qualcuno che non ha capito l’importanza della Tav, provate a immaginare per un secondo cosa sarebbe successo senza il canale di Suez e senza il traforo ferroviario del Frejus? Sì TAV, sì lavoro. Siamo qui per l’Italia e gli italiani, di oggi e domani, ma anche perché i benefici di quello che vogliamo li avranno anche i figli dei No TAV».
La voce dei NO-TAV
Qualche giorno prima della manifestazione si era levata anche la voce dei No TAV con una lettera aperta ai manifestanti: “Volete davvero credere che un tunnel a più di 50 km da Torino, destinato perlopiù a trasportare merci (che non ci sono!), risveglierebbe l’economia della nostra città?”, si legge nella lettera firmata da uno dei leader No TAV, Lele Rizzo.
Il movimento ribadisce la sua posizione sull’inutilità dell’opera non senza qualche punzecchiatura al neonato fronte Sì Tav: «Ma avete mai visto tutto questo schieramento per scendere in piazza quando le nostre scuole cadevano a pezzi, quando le code per una visita aumentavano, quando il lavoro mancava sempre più a tanti? In tutte queste occasioni avremmo avuto bisogno di vedere tutti questi “amanti di Torino” impegnarsi per far ripartire la città, invece erano sempre occupati a gestire il proprio “ruolo in società”, magari guardando tutti dall’alto della collina torinese». Il fronte No TAV ha già indetto una contro-manifestazione per l’8 dicembre.
La reazione della sindaca Chiara Appendino è di apertura: «Al netto delle diverse sensibilità politiche in piazza c’erano energie positive e idee condivisibili, per le quali la porta del mio ufficio è sempre aperta». Ma le reazioni più attese sono ovviamente quelle dei valsusini, toccati in prima persona dalla realizzazione dell’opera: tanti ribadiscono la loro totale contrarietà all’opera, esprimendo insofferenza per una città (Torino) sentita distante non solo nei chilometri, ma perché incapace di capire le loro ragioni. Ma c’è anche chi, come Fulvia Masera, commentando la notizia su un giornale locale, vede nella pluralità di idee e posizioni una possibilità: “Sono lieta che sia nato il movimento Sì TAV, così anche noi valsusini, persone per bene, avremo un altro spaccato di società con cui confrontarci in modo pacifico e costruttivo”.
La piazza di Torino, però, come dice un consigliere comunale 5S, non è da sottovalutare. Perché Torino è una città particolare, capace di anticipare l’apertura o sancire la chiusura dei cicli storici, indicare tendenze in divenire. Era successo nel 2016, quando il successo di Chiara Appendino al ballottaggio, con molti voti ricevuti come protesta contro Renzi, aveva anticipato la disfatta dell’allora presidente del Consiglio al referendum costituzionale, divenuto poi un voto sulla sua persona.
Sarebbe miope, da parte delle istituzioni e del Governo, sottovalutare o deridere questa piazza, perché questa fetta fin qui silenziosa (maggioranza o minoranza lo si capirà) che ha deciso di entrare nel dibattito su questa grande opera con una posizione chiara e netta è, nella pluralità che porta, sicuramente una vittoria per la democrazia e potrebbe allargarsi in altre città e per altre ituazioni.
La questione della TAV è e resta un nodo intricato e difficile da dipanare con formule e slogan, che meriterebbe sicuramente una maggiore capacità di avvicinamento e di comprensione reciproca di due fronti ora totalmente contrapposti tra loro ed incapaci di arrivare ad un punto d’incontro, dove possano coesistere la necessità di modernità, di futuro, di respiro europeo, ma dall’altra anche la preoccupazione in termini di salvaguardia ambientale, di salute e contro ogni speculazione.