La rivoluzione di Bergoglio
Ero in piazza San Pietro quel 13 marzo 2013, faceva freddo e piovigginava. Allorché il card. Jean-Louis Tauran pronunciò la famosa frase: «Nuntio vobis gaudium magnum: habemus papam!», facendola seguire dal nome «Georgius Marius Bergoglium», l'applauso liberatore rimase un po' sospeso, perché la gente presente non capiva chi fosse quel personaggio che aveva varcato il soglio pontificio.
Mi ritrovai, insieme a pochi altri che in piazza conoscevano l'arcivescovo di Buenos Aires, a spiegare attorno a me quello che di lui conoscevo. Chi oggi nel mondo può dire, invece, di non conoscere Bergoglio? Ben pochi. In soli due anni è diventato il leader più conosciuto e apprezzato al mondo: un solo esempio, conta ben 1.162 mila follower su Twitter.
Papa Francesco si è fatto conoscere coi gesti simbolici e con le parole forti. Gesti quali l'abbraccio al malato di tumore alla pelle; la stretta di mano con Peres e Abu Mazen; la preghiera sulla lancia della Guardia costiera a Lampedusa; l'uso delle scarpe nere un po' sformate; il rifiuto di abitare nell'appartamento papale tradizionale…
Parole quali "l'odore delle pecore", "buon giorno, buona sera", "periferie", la condanna della mafia in Sicilia; il commento al "Je suis Charlie" nell'aereo sull'Oceano Indiano; le parole di invito ai movimenti ecclesiali ad essere pienamente "Chiesa" e "in uscita"; le parole di difesa della famiglia tradizionale, non disgiunte da quelle rivolte a chi una famiglia del genere non ce l'ha proprio…
Vorrei ricordare solo, tra le tante, tre "note" di questo pontificato. In primo luogo papa Francesco è il papa dei poveri e delle periferie, senza dubbio. Per lui i poveri non sono solo una "opzione preferenziale", ma un vero e proprio modo di "essere al mondo" di chi vuole vivere il Vangelo sul serio. Il povero per lui non è solo oggetto "obbligato" di un amorevole attenzione misericordiosa; il povero "è" il vero cristiano.
Povero in spirito, ma anche nella concretezza del rifiuto di ogni inutile ricchezza. Povero nell'atteggiamento di umiltà che va mantenuto nei confronti di Dio, della realtà e di ogni altro uomo, di ogni altra donna. Povero nella capacità di accogliere il dono, qualsiasi dono.
In secondo luogo, papa Bergoglio non è un politico, non vuole nemmeno esserlo. È un "pre-politico", un uomo che detta in qualche modo le premesse della politica: l'amore per la verità e per il bene comune; l'attenzione ai più sofferenti, alle periferie, ai luoghi della miseria; l'esigenza di parlare alla gente con il linguaggio della gente, e non con l'altezzosità di chi sta in alto; il dialogo come via indispensabile al confronto tra culture, tra religioni, tra popoli, tra Stati.
Ma papa Bergoglio è anche un "post-politico", cioè una persona che aspetta dai politici onesti e capaci le loro decisioni senza volerle influenzare, ma casomai dandone un giudizio morale nella verità e nel rispetto della diversità dei ruoli. Ma è "post-politico" anche perché fa impegnare alacremente i suoi "diplomatici" per lavorare oltre la politica tradizionale per aprire nuove vie alla pace, come a Cuba, in Cina e chissà su quanti altri fronti.
Terza "nota" del pontificato di papa Francesco che mi pare degna di attenzione: Bergoglio è un fautore dell'ascolto e del confronto all'interno della Chiesa, per orientarla ad essere all'altezza dei tempi odierni. Il suo lavoro nel primo Sinodo della famiglia è stato emblematico: parliamo, confrontiamoci, poi decidiamo assieme (dopo il secondo Sinodo!). Analogamente sta lavorando per la riforma della Curia romana assieme a otto cardinali del mondo intero, a testimonianza di una Chiesa che non è più né italocentrica né eurocentrica. È il mondo stesso il centro della "sua" Chiesa. È Gesù Cristo presente nel mondo.