La rivoluzione del Greco
Se non siete mai stati a Toledo, questa è l'occasione buona per andarci. La cittadina, alta sul monte, tra le gole dove scorre il Tago, è uno splendore, con l’Alcazar e la cattedrale gotica, le armerie per cui è famosa. Ma oggi soprattutto è celebre per El Greco, il fantasmagorico pittore che vi abitò e vi morì, giusto 400 anni fa nel 1614. Toledo celebra il pittore che vi abitò per 37 anni, reduce dall’Italia – Venezia e Roma –, lui un greco di Creta che si ostinava a firmarsi (in greco) Doménikos Theotekópoulos.
Mostre a non finire: a Toledo fino al 14 giugno con ben 123 opere – la più grande rassegna mai esposta sull’artista –, al Prado a Madrid, dal 24 giugno, a Valladolid dal 29 aprile. La Spagna celebra alla grande quest’uomo superbo e ambizioso, misterioso e affascinante.
L’aura mistica dei suoi soggetti religiosi, per lo più, i ritratti fulminanti, i paesaggi allucinati, preludono a Van Gogh, a Monet, a Cézanne. Risentono dell’educazione bizantina – il gusto per l’astratto –, dei manieristi italiani – le figure allungate all’inverosimile –; del colore dei veneziani – Tiziano in primo luogo – e del gigantismo romano di Michelangelo.
Ma El Greco – come lo chiamavano in un misto di italiano e spagnolo – mescola queste influenze e dà vita ad uno stile originalissimo. Fatto di figure plastiche, luminose come apparizioni improvvise, di colori acidi e squillanti, di pose innaturali: sono decine di ritratti di Cristo e dei santi, Madonne belle dagli occhi neri come le ragazze di Toledo, crocifissioni, natività, resurrezioni attraversate da lampi che squarciano i cieli tempestosi.
Insomma, un fuoco divora quest’uomo, insofferente delle imposizioni altrui, amato da conventi e confraternite nonostante le “licenze poetiche” dei suoi quadri – l’Inquisizione vigila a Toledo –, pittore di devozioni lancinanti, di lagrime patetiche, di seppellimenti e di ascensioni mistiche in un tripudio di angeli e di luci che anticipa il Barocco, senza essere barocco.
Soprattutto El Greco parla con gli occhi e le mani: occhi fosforescenti, lucidi e brillanti, mani lunghissime, dalle dita affusolate, come rami teneri di un albero, corpi forti avvolti da colori smaglianti: i rossi, i verdi, i gialli decisi. Si crea un clima di sovvertimento delle proporzioni armoniche, dei colori pacati, un sussulto devoto che fa fremere l’anima, la conquista, la spacca, la tormenta fino a farla salire in alto, nei cieli mistici di una Teresa d’Avila o di un Giovanni della Croce, contemporanei del pittore.
Di qui il fascino di un’arte “strana” – al re Filippo II non piaceva –, di una religione che picchia sul registro del pathos fino al limite massimo dell’equilibrio, dove l’anima spagnola portata agli estremi della gioia o del pianto si esprime con la forza tutta mediterranea del Greco che vive di passioni, di allucinazioni anche violente. Un mistico drammatico, questo è il pittore.
Guardare allora l’Espolio della sagrestia del duomo di Toledo, dal Cristo rosso fiammante al centro; il ritratto del cardinal Guevara, rosso su rosso; il Seppellimento del duca d’Orgaz a Toledo, spettacolo visionario di cielo e terra uniti insieme, con la fila di ritratti di gentiluomini in nero e bianco, una corale maestosa e fremente. Fibrillazioni luminose, ecco le luci del Greco che fa delle sue figure sacre o profane puri fantasmi spirituali. Siamo già nel Novecento ed oltre.