La rivolta e i new media

Non ci si è ancora resi conto dell’importanza dei new media nella vita della gente. Cambia la comunicazione, cambia la vita in società
egitto proteste

C’è un passo del recentissimo messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che mi ha fatto pensare: «Il coinvolgimento sempre maggiore nella pubblica arena digitale, quella creata dai cosiddetti social network, conduce a stabilire nuove forme di relazione interpersonale». I nuovi media, quindi, dice il papa, sono strumenti che hanno delle conseguenze “antropologiche”, nel senso che cambiano il nostro modo di “essere al mondo”, come direbbe il filosofo.

 

Ripenso a tutto ciò aggiornandomi sui focolai di rivolta scoppiati attorno al Mediterraneo in questi giorni: Libano, Egitto, Tunisia, Algeria, Albania, Grecia… Le motivazioni di tali risvegli popolari, e soprattutto giovanili, sono vari: economici, politici, religiosi, sociali. Ma la modalità dello scoppio di tali rivolte è sostanzialmente simile: gruppi di giovani, spesso spontaneamente creatisi in pochi giorni o in pochi mesi, si contattano attraverso i new media (Facebook, Twitter, Myspace…) e decidono di ribellarsi, dopo aver condiviso a lungo frustrazioni, notizie di ingiustizie, violenze e soprusi, dopo aver costatato che nulla si muove e che i furbi al potere decidono sulle spalle dei cittadini.

 

Forse esagero, forse accentuo l’importanza di questi contatti virtuali che diventano reali, certamente non do abbastanza rilievo alle ragioni profonde dei malesseri locali: in Libano la questione Hezbollah, in Egitto la presenza dei Fratelli musulmani, in Tunisia la corruzione, in Algeria la povertà delle campagne, in Albania la contrapposizione frontale tra i due partiti più grandi, in Grecia la grave crisi economica. È vero, ma le modalità di sviluppo delle rivolte sono molto, ma molto simili.

 

Già da tanti anni nelle città attorno al Mare Nostrum si notava un incredibile proliferare di antenne paraboliche, attraverso le quali nelle case entrava non solo l’islamismo più chiuso, ma anche la CNN, il lusso europeo, la pornografia, l’emergenza dei Paesi meno ricchi sulla scena del mondo… Ora i new media, quelli personali, quelli che uno si porta appresso, hanno moltiplicato questa condivisione planetaria, nel bene e nel male, introducendo l’elemento personale nella comunicazione mediatica: se dinanzi alla tv siamo passivi, non altrettanto si può dire dinanzi al nostro computer o al nostro smartphone.

 

Ciò non vuol dire che tutto andrà automaticamente meglio dal punto di vista sociale, questo no. Ma sarà più difficile per i potenti farla in barba alla gente normale; sarà più difficile sostenere regimi sulla menzogna e sulla paura; sarà più difficile evitare che la gente si faccia forza reciprocamente e non reagisca. Sta avvenendo un’enorme operazione di trasparenza dei rapporti messi in atto dal potere, di qualsiasi segno, come dimostrano anche le questioni di WikiLeaks e delle intercettazioni che tanto successo hanno anche da noi.

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