A Firenze Pitti Uomo 76, la fiera internazionale che lancia le linee di tendenza per la prossima primavera ed estate in tempi di vacche magre.
Lo ammetto. Non ero mai stato ad una sfilata, né ad una fiera di moda. I vestiti, quasi sempre, me li compra mia moglie. Non distinguo un gabardine da un denim e non li chiamo tessuti, ma materiali. Non distinguo neanche un fucsia da un terra di Siena, per me sono o rosa o rosso.
Eppure passeggiare nella Fortezza da Basso di Firenze dove era allestita la fiera Pitti Immagine Uomo mi è piaciuto. Ho realmente ammirato il talento, la creatività, la fantasia, la ricerca del dettaglio originale degli stilisti italiani. Mi è sembrato di essere nel solco della tradizione tracciata da secoli di botteghe, di artigiani, di operai italici che hanno fatto la fortuna del nostro Paese. Non a caso la moda è uno dei pochi settori industriali italiani ben conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. Ho ammirato giacche, magliette, camicie, scarpe e accessori mai visti nei grandi magazzini da me usualmente frequentati. Capi talmente belli che mi è venuta anche voglia di comprarmeli. Le grandi griffe hanno addirittura abbassato i prezzi fino al 20 per cento: basterebbe solo che il mio direttore mi aumentasse lo stipendio un po’ più del 20 per cento.
La prossima collezione primavera-estate 2010 della moda sarà caratterizzata da un irruzione di spensieratezza, ottimismo, leggerezza. L’eleganza del colore, brioso, acceso, forte, attraverserà trasversalmente tutti i tipi di collezioni: dal formale al casual, dallo sportivo al classico, dalle scarpe agli accessori. Per battere la crisi Pitti Uomo 76 punta sulle idee, sulla creatività e sul giusto equilibrio qualità-prezzo. Dopo le sbornie degli anni passati, infatti, anche la moda italiana assapora gli effetti benefici della crisi. Gli ordinativi, infatti, nel primo trimestre del 2009 sono in calo del 15 per cento e il bilancio settoriale del 2008 è in calo solo dello 0,8 per cento grazie alla crescita delle esportazioni che, da sole, raggiungono la cifra di 5.283 milioni di euro su un totale di 9.358 di fatturato. Dei 832 marchi presenti, 226 erano esteri e gli oltre 20 mila compratori provenivano oltre che dall’Italia, da tutto il mondo.
E in tempi di crisi si riscopre il riciclo. La casa Momabona, specializzata in accessori, ha stretto un accordo con la Panini. Proprio quella delle mitiche figurine del “celomemanca”. Perché, infatti, far marcire nei magazzini collezioni intere dei calciatori italiani e non utilizzarli, invece, per foderare le borse? Non ha solo un valore evocativo delle sensazioni che trasmette, ma anche quello dell’utilizzo delle bustine di figurine degli anni Settanta e Ottanta, lavorate artigianalmente e poi resinate su delle borse dall’indubbia originalità. Insomma, il riciclo creativo che non ti aspetti. C’è chi, come la marca Gas di Claudio Grotto, non vuole creare capi nuovi, ma tornare alle radici, alle ispirazioni primordiali, riadattandole al gusto di oggi. Autenticità è la parola chiave della sua nuova collezione che proprio quest’anno celebra il 25esimo. Tessuti e forme sono studiati per mettere in luce la vera natura del prodotto, riscoprendone i valori acquisiti nel tempo.
Vagando tra gli stand, osservando gli espositori e i compratori, mi è sembrato che, oltre l’industria della moda, oltre gli affari e gli eccessi dell’edonismo, la ricerca della bellezza sia qualcosa di tipico italiano, scritto nel Dna. È una sete di perfezione. Sete che non si può mai soddisfare, eppure una sete che è universale, come universale è il linguaggio della bellezza. Per questo, forse, la moda è un linguaggio che parla a tutti, al di là delle nazioni, delle convinzioni, delle ideologie, delle religioni e raggiunge persone del mondo intero attirate dai colori, dalle forme, per fermare l’attimo fuggente.
La moda al tempo della crisi
Antonio Cristaudo è il responsabile del marketing di Pitti Immagine.
Con la recessione in atto cosa è cambiato nel mondo della moda: stili, tessuti, prezzi?
«Il calo degli ordinativi ha creato una situazione strana, c’è voglia di ingegno, di creatività, di prodotti ben fatti, a prezzi interessanti. Se poi il prodotto è made in Italy e non costa un occhio della testa, tanto di guadagnato. I compratori non ritengono più indispensabile la grande firma per i loro negozi, preferiscono il prodotto alla grande griffe. Significa scegliere un prodotto con un buon prezzo, un buon marchio, ben fatto e un buon margine di guadagno. Sono premiate le aziende che riescono a produrre non ad un prezzo basso, ma ad un prezzo corretto. Negli anni scorsi tutto ciò era stato dimenticato e c’era stato un ricarico eccessivo sui prezzi che ora non è più sostenuto dal mercato».
Se lei dovesse definire l’dea di bellezza che veicola oggi la moda italiana, come la definirebbe?
«La bellezza è data dal mix ben combinato di vari elementi: il gusto, le proporzioni, e dal saper mescolare elementi diversi per dare un risultato finale completamente nuovo. Oggi nessuno si veste più con il total look, cioè lo stesso marchio dalla testa ai piedi, ma bisogna saper combinare vari vestiti e accessori di diversi stilisti. La bellezza è allora saper mischiare le cose con uno stile creativo e con personalità. A quel punto la creatività è anche sinonimo di bellezza».