La risurrezione nelle mani

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Pare che i segnali di morte debbano soffocarci. Le notizie che si riversano su di noi parlano di incomprensioni, conflitti e guerre: Gaza e i kamikaze; le ammazzatine familiari e i bimbi caduti nei pozzi; i muro contro muro che paiono inconciliabili tra popoli, tra etnie; lo sfruttamento senza fine dei poveri; il Sudan che non trova pace ma nuove persecuzioni; l’inquinamento che ci asfissia; le famiglie che si sfasciano; depravazione, aborto, droga. Un inferno. L’altro giorno mi sono trovato al capezzale di Chiara Lubich, degente in una stanzetta al Policlinico Gemelli. Due occhi profondi come i secoli e gli spazi mi guardavano, con insistenza, mi trascinavano nei vortici del dolore e, paradossalmente, dell’amore. Del senso che nasce dal non-senso delle cose. Del senso forse ultimo delle cose. Tornato in redazione dopo quei tre minuti di eternità e caducità, mi sono rituffato col cuore pesante sul timone, quello strumento che noi giornalisti usiamo perché ci guidi, ci indichi la direzione di marcia nella fabbricazione del giornale. Quelle pagine in miniatura mi sembravano vanità, parole al vento, carta, vapore. Guardavo quel foglio e mi sforzavo di concentrarmi sul lavoro, allorché quegli occhi mi sono tornati alla mente, al punto da dar vita a quelle stesse pagine, quelle che anche voi ora avete tra le mani. Si parla di politica? Non quella dei vituperi e delle intolleranze, ma quella di chi si dedica al bene comune rispettandosi e coltivando la speranza di potersi capire e lavorare assieme, pur di formazioni diverse. Si parla di sport? Ecco atleti e allenatori che vivono l’agonismo per incrementare il tasso di fraternità nella società. E poi la luce dell’ammiraglio, marito della donna uccisa a Tor di Quinto, che pronuncia parole di coraggiosissimo perdono. A Porto Alegre osserviamo le città di mezzo mondo che si uniscono per risolvere i problemi dei cittadini; e leggiamo pure di una novantina di vescovi che si mette all’ascolto dei laici, in una Chiesa che sempre più appare (ed è) comunione. Ancora, 15 mila adozioni a distanza mostrano una massiccia dose di generosità, un ponte gettato tra Nord e Sud, tra ricchi e poveri… La testimonianza di un grande medico che, colpito da un cancro, si dedica all’ascolto dei pazienti, e quella di una coppia che ha saputo rimanere fedele nonostante le prove della vita, mi portano non solo conforto ma anche voglia d’imitazione. Proseguendo, ecco il digiuno come via a un’interiorità vera; ecco il regista che si dedica alla valorizzazione dei cineasti indiani; ecco artisti che cercano l’armonia. Senza dimenticare l’amata natura. Queste pagine cercano di guardare alle cose, con speranza. No, direi di più: con la fede, la speranza e l’amore che nascono dalla risurrezione. E così anche i dolori – che pur restano inspiegabili – acquistano senso. Riceverete Città nuova poco prima o poco dopo la Pasqua. Forse proprio il Venerdì Santo. Queste pagine recheranno con sé una risurrezione in qualche modo alla portata di tutti, cioè quelle piccole-grandi risurrezioni che colorano il grigio dell’esistenza e l’assurdo di una vita che scivola tra le dita. La vita che segue alla morte, che non la cancella ma la fa diventare Pasqua. Mi sembra che una vera e propria cultura della risurrezione traspaia da questi articoli; una cultura che – passata per la notte oscura della mente, superate le forche caudine della disperazione, abbandonate le secche dello Spirito – sfocia in un luogo di luce, fioca forse, eppure sempre luce. Che illumina le cose e le coscienze, soprattutto se accesa nella notte. Al momento di andare in stampa le condizioni di Chiara Lubich sono ancora serie, seppur stazionarie. Le è giunta una calorosa lettera di vicinanza da Benedetto XVI, ha ricevuto il patriarca ecumenico Bartolomeo I e Andrea Riccardi, continua ad interessarsi alla vita dei Focolari nel mondo e a prendere decisioni. Si prega e si spera: coloro che la amano e che da lei hanno ricevuto qualcosa continuano a vivere la loro vita, semmai con maggiore intensità. Con la morte nel cuore e con la risurrezione nelle mani. Come Chiara Lubich ci insegna da sempre a fare.

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