La risposta globale al virus Zika
Zika è un virus a RNA strettamente correlato ai patogeni della Dengue e della febbre gialla. Il nome deriva dalla foresta ugandese dove fu scoperto nel 1947. Da allora si è diffuso in tutto il mondo, seguendo l'inarrestabile proliferazione del suo vettore, la zanzara del genere Aedes (ne fa parte anche la “zanzara tigre”), che lo trasmette con la sua puntura.
L'infezione decorre spesso in modo asintomatico e i sintomi, quando presenti, sono limitati a febbre, esantema, congiuntivite e dolori articolari. La malattia ha normalmente un decorso benigno e non sono necessari trattamenti specifici se non per alleviarne i sintomi fino alla guarigione naturale.
Le recenti epidemie di febbre Zika verificatesi in Polinesia Francese (2013) e in Brasile (2015, tutt'ora in corso) hanno tuttavia rilanciato l'attenzione su una patologia scarsamente conosciuta per le sue complicanze: in particolare nelle aree e nel periodo interessati dall'epidemia si è registrato un incremento di casi di sindrome di Guillain-Barrè e di microcefalia nei nuovi nati. Tuttavia le analisi epidemiologiche e cliniche su questi casi non hanno ancora permesso di stabilire un nesso certo fra il virus Zika e queste patologie.
Attualmente sono 27 i Paesi e territori interessati da casi di febbre Zika negli ultimi 9 mesi, per lo più in Sud America, ma con una preoccupante diffusione del virus che interessa anche Canada e Stati Uniti. In Europa e in Italia il virus non è presente in maniera endemica ed è altamente improbabile, stante le condizioni climatiche, che eventuali casi di importazione possano dar origine ad una epidemia.
Come per la malaria, anche in questo caso l'assenza di un vaccino fa sì che l'unica arma per combattere la diffusione del virus Zika sia la prevenzione e la lotta alle zanzare. Una situazione ben diversa dall'epidemia di Ebola dello scorso anno, ma che può portarci ad una riflessione comune: in un mondo sempre più interconnesso, è essenziale che la prevenzione sia intesa a livello globale, con i Paesi ricchi impegnati in prima fila con interventi locali e di sostegno a lungo termine alle infrastrutture sanitarie dei luoghi con bassi standard socio-sanitari.
Questo anziché continuare a sprecare risorse in azioni anacronistiche di “chiusura” dei confini, che forniscono solo un'illusoria sicurezza, lasciando alle epidemie il tempo necessario per sfuggire al controllo garantito da interventi profondi e tempestivi.