La risposta del popolo No Tav
È un’onda bianca di famiglie, bambini, giovani e persone di ogni età quella che ha invaso le strade del centro di Torino per la forse più partecipata manifestazione nazionale a sostegno del No Tav di sempre, con una grande rappresentanza arrivata dalla Val Susa e da tutta Italia. Ai lati della strada qualcuno guardando l’avanzare di bandiere, balli e tamburi esprime il pensiero di tanti: «Era tantissimo tempo che non vedevo così tanta gente».
Quella dell’8 dicembre, anche se gli organizzatori più volte hanno provato a sottolineare il contrario, sembra essere stata in fondo la risposta del popolo No Tav alla manifestazione del 10 novembre che ha visto scendere in piazza il neonato comitato Si Tav, ponendo le “montagnine” valsusine contro le “madamine”. Molti infatti gli slogan, cartelli e allusioni a loro nei discorsi che rimbombano dagli altoparlanti piazzati sui diversi furgoni che compongono l’enorme corteo che si sposta da Piazza Statuto a Piazza Castello al grido di “No Tav fino alla vittoria”.
Tanti i giovani e gli studenti, che rivendicano di non essere mai stati interpellati su un tema che li tocca invece da vicino, perché, ritengono, saranno loro a subire i danni economici e ambientali provocati da un’opera inutile e troppo costosa, chiedendo a gran voce che i soldi indirizzati alla realizzazione dell’opera siano destinati alla messa in sicurezza delle loro scuole e per garantire il diritto allo studio.
«Un centimetro di Tav sono 1300 euro tolti a ospedali, trasporti, scuole e università, un lavoro sicuro, messa in sicurezza dei territori», si legge su uno dei tanti cartelli. L’inutilità e l’eccessivo costo dell’opera: sono questi i temi più ricorrenti tra i manifestanti, che si sentono ripetere più volte dal palco allestito in piazza Castello su cui si alternano gli esponenti del popolo No Tav e i rappresentanti di moltissime realtà eterogenee che hanno aderito alla manifestazione, anche in rappresentanza di comitati contrari ad altre grandi opere italiane, come i No Tap, i No Gronda e i No Terzo Valico. «Basta spreco di denaro pubblico in opere inutili. Dalla valle alla pianura un solo grido: a sarà düra!».
Le parole d’ordine sono futuro più sostenibile, dove non vengano distrutte le opere già presenti, investimento in opere più piccole e sostenibili, senza il ricorso a modelli distruttivi per i territori. Alberto Perino, storico capofila del comitato No Tav rivendica una lotta che va avanti ormai da quasi 30 anni: «C’eravamo, ci siamo, ci saremo. Ora e sempre No Tav». E lancia un appello al Governo: «Chiediamo che tutto questo abbia fine, lo chiediamo con forza al M5S perché l’avevano scritto nel loro programma. Ci rendiamo conto che non sono soli al governo, ma gli chiediamo di resistere e portare a casa quello che hanno promesso. La Tav si può solo non fare o ci troverete tutti davanti alle vostre ruspe», aggiunge.
Per il popolo della piazza dell’8 dicembre dire “no” serve per dire tanti “si”: ad infrastrutture per mobilità locale, allo sviluppo economico sostenibile, agli incentivi per la formazione università e ricerca, a più sanità pubblica e accesso ai servizi, al progresso slegato da opere definite obsolete.
Dopo le due piazze, cosa rimane?
E adesso che le piazze si sono espresse? In questi mesi si sono confrontati schieramenti che si trovano contrapposti su posizioni che appaiono in questo momento inconciliabili. «Servirebbe più dialogo e meno slogan, da tutte le parti», dice timidamente una degli “spazzatori No Tav” in coda al corteo, un gruppo di manifestanti valsusini che con ramazze e sacchetti puliscono i rifiuti lasciati dai manifestanti.
Dopo aver visto le due piazze questa è forse la speranza più auspicabile, perché l’impressione è che il muro contro muro e l’inutile guerra di numeri di queste ore serva a ben poco.
Ma dialogo tra chi? Tra i cittadini, tra i politici? Quella della/del TAV (si, perché nel day-after c’è anche spazio online per una disputa linguistica sull’articolo da utilizzare) allo stato attuale è una questione molto, troppo complessa, che coinvolge molti aspetti sociali, economici, ambientali, e può contare su pochi punti fermi: da una parte una montagna bucata, dall’altra la pressione dell’Europa con la velata minaccia di perdita dei finanziamenti in caso di ritardo, con relativa restituzione di quanto già utilizzato nel caso di rinuncia.
Proprio per questo forse è arrivato il momento che la paventata commissione “costi-benefici” faccia celermente il suo lavoro andando con onestà a fondo di tutte le questioni connesse, permettendo al Governo di assumere finalmente la responsabilità di una decisione definitiva, trovando, si auspica, un punto d’incontro che tenga conto delle valide ragioni e istanze espresse dalle due piazze.
Con la speranza che i fronti contrapposti dell’opinione pubblica accompagnino questo lavoro sotterrando le asce di guerra, rifiutando la tentazione della contrapposizione “binaria”, della generalizzazione e dei giudizi personali, per non ridurre il necessario dibattito, anche energico all’evenienza, a una sola gara di forza e di numeri. C’è bisogno, da parte di entrambe le parti, di lasciare da parte gli slogan e porre l’accento della discussione su idee e argomentazioni solide e concrete.
Perché un dialogo franco e intellettualmente onesto non serve solo alle parti per cercare dei punti di contatto, ma serve anche a quella maggioranza silenziosa che assiste al dibattito per potersi fare, a sua volta, un’idea su una questione che, come ha ricordato la manifestazione di sabato, non riguarda solo la Val di Susa, ma l’Italia intera.