La risposta alla bomba di Reggio
«Vedo, sento, parlo. La mafia è un fatto umano e come tale non è invincibile: ma ha un inizio e avrà una fine». Questa frase del giudice Falcone campeggia su una delle fiancate degli autobus della linea urbana a Reggio Calabria, quasi per esprimere l’atmosfera che si è creata dopo l’attacco frontale alle istituzioni sferrato dalla ‘ndrangheta. Così è stato, infatti, percepito l’ordigno esploso, all’alba del 3 gennaio, davanti alla sede della Procura generale presso la Corte d’appello. Un attentato che ha dimostrato un cambiamento nella strategia della malavita organizzata che in genere preferisce cercare infiltrazioni, connivenze e collusioni. Invece questa volta è uscita allo scoperto.
L’ultimo avvicendamento nei vertici della Procura non dev’essere stato gradito. Salvatore Di Landro, a circa un mese dall’insediamento, non ha nascosto il proprio pensiero: «Potevo svolgere il mio compito in modo burocratico o dare il meglio di me stesso facendo capire di voler seguire approfonditamente i processi d’appello». E a quanto pare il cambiamento di rotta è stato recepito, soprattutto da chi, già condannato in primo grado, sperava in appello di ottenere sconti nella pena.
Eppure oggi l’onda d’urto della dinamite fa ben sperare. Non è stata di quelle che ciclicamente squarciano il silenzio della città danneggiando piccoli e grandi esercizi commerciali (15 attentati solo nell’ultimo mese). Paradossalmente, secondo autorevoli osservatori, la bomba contro la procura «ha ricongiunto drammaticamente la città ai suoi magistrati». Non più attentati ed incendi conteggiati con rassegnazione. La società civile è scesa in piazza, attraverso sit-in e fiaccolate, senza slogan. In quel silenzio sofferente che caratterizza la gente da queste parti, ma che in questa occasione è stato espresso con dignità e pubblicamente per testimoniare la presenza accanto alla giustizia ferita. E la reazione forte dello Stato, con l’invio di magistrati e forze dell’ordine, ha trasmesso fiducia: finalmente ci si è accorti che la ‘ndrangheta è un problema nazionale.
Tanti fattori oggi lasciano credere che, questa volta, la malavita abbia commesso un clamoroso autogol.