La risposta alla dittatura del presente e al potere della finanza
Gustavo Zagrebelsky nella sua ultima pubblicazione “Contro la dittatura del presente” (editore Laterza), in particolare nei primi tre capitoletti, fa una lucidissima analisi della situazione storica che ha portato l’Italia e gli altri Stati del Sud Europa ad essere dipendente dal mercato finanziario. Da tale analisi risulta chiaro che la predetta dipendenza ha la sua origine nell’enorme debito pubblico che i predetti Stati hanno accumulato un enorme debito nei confronti dei grandi investitori privati ai quali hanno chiesto denaro in prestito, mediante emissione dei titoli di Stato, per fare fronte alle proprie spese. Risulta chiaramente che quanto più lo Stato è gravato dal debito pubblico tanto più è esposto al potere della finanza, la quale detta le condizioni (tassi d’interesse, ecc.) per continuare a finanziare lo Stato.
Tra dette condizioni c’è in particolare quella di avere governi che diano garanzia di pagamento. Da qui la necessità della “stabilità” dei governi, della “governabilità”, del “vincolo di bilancio” ecc.
In tutto ciò, grosso modo, si riassume la “dittatura del presente”
A questo punto si pone la questione dell’Europa e dell’euro.
Ormai molti esperti sostengono che l’avere separato la creazione della moneta unica dalla realizzazione di un’unità politica è stato un errore – (l’aveva detto già Kohl) – che sta producendo l’attuale divaricazione economica tra i Paesi del Centro-Nord dell’Europa e quelli del Sud.
La stessa Banca Centrale Europea è funzionale a mantenere stabili i prezzi e il valore dell’Euro all’interno dell’Unione, a tutto vantaggio delle economie più forti. Infatti, la mancanza di un governo europeo impedisce alla BCE di svolgere una funzione di raccordo tra le economie e le finanze dei singoli Paesi per arrivare ad un sistema unitario di entrate e di spese.
Alla luce di questo discorso come rispondere alle due domande fondamentali? 1) come costruire l’unità politica dell’Europa? 2) in mancanza, conviene porre fine alla moneta unica? Su quest’ultima domanda, come ho detto, si levano già voci autorevoli per affermare che la situazione così come è non appare sostenibile dai Paesi deboli. Il ritorno alle monete nazionali e la liberazione dei prezzi favorirebbe la produzione e l’esportazione di beni tipici dei singoli Paesi a prezzi tali da renderli appetibili ai Paesi che hanno moneta più forte, in quanto avvantaggiati dal cambio. Ciò favorirebbe anche l’occupazione.
Ma, a mio avviso, per non tornare ad una economia protezionistica, questo processo dovrebbe essere accompagnato dall’altro processo: quello dell’unità politica, a tutto vantaggio di una vera integrazione economica.
Per questo secondo processo occorre una decisa volontà politica degli Stati; e, a me sembra che per rendere credibile una tale volontà politica, occorre partire da una comunione dei beni di tutti i singoli Paesi europei. L’Europa, infatti, ha il grande vantaggio, che altre parti del mondo non hanno, di avere una ricchezza e una varietà di beni veramente uniche. Abbiamo risorse agricole di una qualità e di una varietà che non si trovano altrove; abbiamo una capacità artigianale e manifatturiera che gli altri ci invidiano; abbiamo una capacità tecnologica e industriale di assoluto rispetto; abbiamo una ricchezza di beni culturali e storici unica al mondo; abbiamo bellezze naturali e paesaggistiche altrettanto uniche. Basterebbe fare una comunione di questi beni e di queste potenzialità assicurando e garantendo quelli propri di ciascuna nazione. Questo è il vero governo dell’economia che dovrebbe essere realizzato da un governo unico europeo. Allora avrebbe senso anche una moneta unica che, sulla base della salvaguardia delle economie reali dei singoli Paesi, potrebbe assicurare una giusta distribuzione delle risorse finanziarie.
Gianni Caso è il referente di Comunione e Diritto, rete internazionale che unisce studiosi ed operatori nei diversi campi del diritto.