La riscoperta degli angeli
L’ornato barocco era splendido nell’abside della cattedrale di Valencia. Finché, 18 anni fa, ci si è accorti che al di sotto, celato da secoli, era nascosto un tesoro. Dopo i primi saggi, la decisione clamorosa: rimuovere il fasto barocco per ridare vita ad un altro fasto, ad una gloria splendente in un cielo stellato, tardogotico, invariabilmente azzurro. In linea con il tiburio luminoso tra le finestre di alabastro, stella tra le stelle della cattedrale romanico-gotica, costruita sulla moschea e a ridosso dell’antico Foro romano.
Ed ecco questi angeli musicisti, svettanti nell’aria, in una furia incontenibile, una gioia violenta e passionale di corpi dalle vesti gonfiate dal vento, di ali sterminate, di volti chiaroscurati di ragazzi dagli occhi scuri, ebbri di una frenesia che rende il loro paradiso una furia scatenata di entusiasmo.
Per chi ama gli angeli musicisti di Melozzo da Forlì, vivaci nel cielo azzurro, un tempo nella romana chiesa dei Santi Apostoli e ora nella Pinacoteca Vaticana, lo choc è possibile. Gli angeli di Melozzo sono ragazzi pieni di allegria, biondi e gioiosi: suonano un concerto armoniosamente bello.
Questi invece amano una musica dissonante, rumorosa. Hanno ali così lunghe da occupare ogni spazio delle vele nel catino absidale, suonano trombe, pifferi, arpe e viole con un estro infocato.
Ma chi sarà l’autore di questa danza “valenzana” su uno dei più smaglianti cieli azzurri del secolo quindicesimo?
La scoperta. Si tratta di un pittore che ben pochi conoscono: Paolo da San Leocadio in Emilia, giunto a 25 anni a Valenza al seguito di Rodrigo Borgia, il giovane cardinale fastoso, neo-arcivescovo della città e futuro papa Alessandro VI. Era il 1472 e i canonici della cattedrale commissionarono al pittore il ciclo, così bello e così apprezzato che Paolo rimase in Spagna, prese moglie e morì a Valencia nel 1520.
1472: qualche anno dopo e Melozzo dipingerà, come aveva fatto anche a Loreto, i suoi angeli svolazzanti del “bel rinascimento”. Ma non è quello di Paolo, che piuttosto si avvicina nella sua follia danzante ad un altro poco noto, un genio provinciale nelle Marche, il veneziano Carlo Crivelli. Carlo ha lasciato polittici ornati all’inverosimile, angeli dalle ali immense e artigliate, focosi e pennuti, sempre in volo anche quando stanno fermi.
L’altra sorpresa è vedere quanto Paolo e Carlo siano vicini. È un rinascimento “altro”: l’italianità che dialoga con la passione valenziana, sangue arabo e mediterraneo, sublime decorativismo.
Il paradiso come follia musicale, ebbrezza dello spirito che vuole trascinare nel concerto più moderno al mondo noi che guardiamo col naso all’insù? Chissà.
Ma chi passa per Valencia deve vedere questo capolavoro: la fede come fuoco e l’arte come la più bella e libera follia.
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