La risata ambigua di Arlecchino
A un anno esatto dal debutto all’interno del festival Open Spaces Sommer Tanz di Berlino, e, successivamente, a Parigi al festival Spring Forward e al festival Signes d’Automne, quindi in Italia in altri teatri e rassegne, Harleking di Ginevra Panzetti e Enrico Tacconi continua a ricevere consensi e ad essere rappresentato un po’ dovunque (prossimamente sarà a Bassano del Grappa per B.Motion il 22 agosto, e a Roma per Short Theatre il 14 settembre). Dai percorsi individuali e reciprocamente complementari – entrambi diplomati all’Accademia di Belle Arti di Roma, poi frequenza alla Stòa, la scuola di movimento ritmico e filosofia di Claudia Castellucci, quindi lui con esperienze di danzatore e coreografo, lei con studi di designer e media visual art – la coppia artistica, che vive tra Berlino e Torino, si è formata nel 2008. La loro ricerca si svolge nell’ambito non solo della danza ma anche della performance e dell’arte visiva, approfondendo tematiche che uniscono comunicazione, violenza e potere, e costruendo soggetti ibridi tra storia e contemporaneità. In Lend me your ears!, ad esempio, hanno lavorato su materiali visivi incentrati sulla figura dell’oratore, manipolando le immagini attraverso un sistema di assemblaggio e riproduzione mimetico, trasformando quindi il gesto autoritario ed eloquente proprio dell’oratore in pattern gestuale che ne compromette lo scopo comunicativo. Lo schema gestuale di Harleking si basa su una lunga risata contagiosa. Che ben presto si tramuta in beffa, in satira sferzante. Che ritorna allegra, e di nuovo cambia trasformandosi in burla mostruosa. Ambigua. Sadica. Orrifica. È la metamorfosi dell’Arlecchino ibrido, sdoppiato, al quale, nel titolo (Harlequin + king), i due danzatori e coreografi conferiscono il paradosso di farlo diventare un servo re. Spettacolo ispirato alla celebre maschera e all’antica Grottesca, la decorazione muraria che unisce le raffinate volute ornamentali a elementi figurativi deformi, Harleking racchiude, dello zanni grossolanamente astuto e intrigante o ridicolmente sciocco e burlone della Commedia dell’Arte, fame, sesso, desiderio di ricchezza, e, come nella tradizione, un forte rapporto con il potere. Con le braccia protagoniste del movimento ossessivo, reiterato sulla partitura sonora in loop di Demetrio Castellucci, sono sorprendenti i due performer nel costruire un perfetto meccanismo coreografico ipnotico, multiplo. Nell’articolato minimalismo dei gesti continuamente cangianti; nel mutare delle espressioni facciali in riso, pianto, paura, sberleffo; nella camaleontica trasformazione che avviene occupando a piccoli passi e ampie bracciate lo spazio vuoto, cadendo a terra e risalendo; nell’invenzione di nessi mimetici, il duo tira fuori un archivio di posture, di linguaggi gestuali, di riferimenti iconografici, comunemente riconoscibili. Muovendosi sempre distanti o appena vicini, attenti l’uno all’altra nella ripetizione sfalsata della loro partitura gestuale, a tratti in sincronia, arriveranno alla violenza prima imitando il braccio alzato che sfuma da pugno chiuso a mano aperta e saluto romano, poi strangolando il partner che s’accascia apparentemente morto. Ritmando l’alzarsi in piedi la coppia tornerà a ridere, facendosi nuovamente beffa di noi.