La riforma Onu parte dai diritti umani
L’urgente ed auspicata riforma del Palazzo di Vetro ha iniziato a dare qualche risultato, per di più in una delle questioni centrali sulla quale l’Onu si gioca il proprio futuro: la difesa della persona umana e dei suoi diritti fondamentali. Un lungo dibattito ha permesso la nascita del Consiglio dei Diritti umani, nuova realtà operativa chiamata a valutare la condotta degli Stati quanto al rispetto, godimento, tutela e giustiziabilità dei diritti. Il Consiglio va a sostituire la Commissione dei diritti dell’uomo, che sin dall’elaborazione della Dichiarazione universale del 1948 ha governato la questione nell’ambito dell’Onu, ma che con la fine della guerra fredda ha subito anch’essa un brusco arretramento nella funzione, fino a mostrarsi inadeguata non per le finalità – come negare che i diritti umani vanno garantiti? – quanto piuttosto per l’incapacità di affrontare le questioni più controverse, dove diventa necessario non solo individuare la violazione, ma soprattutto sanzionarla o meglio ancora prevenirla. La proposta iniziale prevedeva una struttura con un peso politico pari a quello degli altri organi principali dell’Onu (si pensi al Consiglio di sicurezza), ma questo significava modificare lo statuto: e come farlo senza disarticolare gli equilibri tra gli Stati membri? Di qui, nel negoziato, l’idea di una flessibilità per acquisire un consenso più vasto tra gli Stati. Ma anche questo non è bastato e di fronte alla risoluzione conclusiva ecco l’emergere di quattro contrari (Stati Uniti, Israele, Isole Marshall e Palau), tre astenuti (Bielorussia, Iran e Venezuela), rispetto ai 170 voti a favore (certo dimenticando che per molti Stati, spesso con una questione dei diritti umani aperta, il mancato versamento dei contributi ha impedito il voto). Saranno 47 gli Stati che l’Assemblea generale, il prossimo 9 maggio, eleggerà nella nuova struttura, operativa dal 19 giugno. La soluzione raggiunta certo non soddisfa chi ne voleva l’elezione a maggioranza qualificata così da precludere l’ingresso a Paesi la cui condotta è incompatibile con il rispetto dei diritti; o di chi auspicava un numero limitato di membri e, ancora, provvedimenti – fino all’espulsione – per quegli Stati dei quali si fosse accertata la violazione dei diritti. Un dato però è certo: il Consiglio dovrà valutare la condotta degli Stati ad iniziare da quelli che ne faranno parte. Un traguardo, allora, e non solo per le riforme, ma per il primato della persona, i suoi diritti e libertà su strutture e calcoli politici.