La ricostruzione in Emilia Romagna

Ravenna storica è stata salvata dalle acque, ma c'è bisogno di un impegno collettivo per risanare tutte le profonde ferite inferte alla regione. Ricordiamo l'invito di Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, che nel fondare il Movimento politico per l'unità, parlò di fraternità come categoria politica. Questa è la chiave che può far ripartire l'Emilia Romagna e chi la aiuterà a venir fuori dal guado
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Come tutta la stampa italiana ha sottolineato, la città storica di Ravenna è stata salvata dirottando un affluente minaccioso che era arrivato alle sue porte e inviandolo sulle campagne. Un’isola salvata dalle acque, ma circondata oggi da ampie zone della città interamente distrutte, da moltissimi paesi della Provincia allo stremo, con il commercio agricolo e industriale piagato inesorabilmente, con strade interrotte e con la linea ferroviaria Ravenna-Bologna collassata e inesistente in alcuni tratti. Nell’isola felice la vita ha ripreso il suo corso: le scuole hanno riaperto i battenti, le parrocchie anche e il commercio indenne mostra le sue mercanzie, ma in quest’isola felice giunge ogni giorno un lezzo maleodorante che ci riporta col pensiero alle zone ancora lontane dalla ricostruzione, che stanno ancora spalando il fango puzzolente, dove si corrono pericoli infettivi, dovuti soprattutto ai corpi di animali in putrefazione annegati nell’alluvione e dove tutto è ancora fermo.

Si profila infatti una vaccinazione di massa doverosa per evitare danni ancora maggiori. Arrivano ad oltre 36 mila le persone evacuate, rifugiate in scuole, in musei, in chiese, in palazzetti dello sport, in cinema, prive di tutto: case mobili vestiti e auto. Tutto è andato disperso e distrutto nell’acqua.

Scenari apocalittici ancora incombono in alcune città e in modo drammatico a Conselice, la citta più duramente colpita, dove l’acqua stagnante non riesce a defluire e la melma sui campi rischia di solidificarsi.

Commuove e dà speranza la presenza di giovani volontari giunti da ogni parte d’Italia per asciugare lacrime, per dare conforto a chi ha perso tutto e spalare il fango. Lo ha sottolineato per primo il presidente della Repubblica Mattarella nel suo passaggio per queste terre martoriate. Il suo primo grazie è andato a loro e poi ai sindaci tutti riuniti a Faenza in quella sala consiliare che, quel giorno unico e indimenticabile, ha brillato di una luce nuova. Non più divisioni o contrapposizioni ideologiche false e dannose, non più le vergognose risse parlamentari, non più discorsi partitici al limite della decenza, con vere e proprie guerre di parole propagate come realtà necessarie.

Quel giorno, a Faenza, con Mattarella, era scomparso ogni contrasto, ogni parola effimera, ogni teatrino partitico, e si respirava un afflato di vera umanità, che si radicava sulle drammatiche povertà comuni e sul convincimento che solo nel tessere insieme alleanze per il bene comune, la politica, la più alta e la più nobile, avrebbe potuto dare risposte efficaci alle esigenze più vere non solo dei cittadini dell’Emilia-Romagna abbattuti e dispersi, ma all’intera nazione.

«Non siete soli…», ha ripetuto più volte il presidente della Repubblica quel giorno, mentre lacrime vere si intravedevano sui volti di quei 100 sindaci lì riuniti. La politica aveva ritrovato il collante per uscire dalle secche anguste di discorsi propagandistici e insulsi. Quel collante che nel lontano 2 maggio 1996  Chiara Lubich, a Napoli, città segnata da mali antichi, propose al mondo della politica.

Occorreva una politica nuova, lontana dai giochi di partiti e vicina alle esigenze reali del popoli e quella piccola donna, insignita del Premio Unesco per l’educazione alla pace e che aveva osato chiedere ai grandi della Terra, nell’aula dell’Onu pace e unità nel mondo, nel fondare il Movimento Politico per L’Unità parlò di fraternità nella politica tra i partiti, fraternità intesa come “categoria politica” da riscoprire, invitando i politici presenti a sentirsi prima fratelli, nella condivisione dei valori sociali e spirituali più importanti e poi appartenenti a una parte o ad un’altra.

Solo uniti si sconfigge il male, da qualunque parte esso provenga; divisi si esprime invece l’incapacità al dialogo e alla ricostruzione di una società indebolita per secoli dal principio di dominazione, dai conflitti, dalle guerre, dalla brama di potere.

Aprì i nostri occhi, chi scrive era presente quel giorno a Napoli, a una realtà che per tanti era ancora nebbiosa: la società non frana solo con i terremoti o le alluvioni, ma molto più spesso nei consigli comunali, di piccole o grandi città, nelle sedi dei partiti, quando non  si riconosce più l’altro come fratello ma come “nemico” politico, non più costruttore insieme di una “nuova umanità”, pur nei diversi ruoli di maggioranza e minoranza.

Ebbene, quel giorno a Faenza era visibile e tacita questa dimensione di fraternità fra tutti i sindaci dell’Emilia-Romagna distrutta. Di qui la convinzione che quella fraternità, ritrovata quel giorno, avrebbe potuto offrire all’Emilia Romagna la forza per varare l’ideale progetto di una ricostruzione.

Non credo che sarà necessario un valente commissario esterno a portare la Regione fuori dal guado, ma saranno quei sindaci uniti come quel giorno ad esprimere e a tracciare la linea unitaria e condivisa di una rinascita. È necessario però che intorno ai sindaci si senta l’afflato vivo e partecipe delle istituzioni tutte, religiose e laiche, delle scuole in primo luogo, delle parrocchie e dei movimenti ecclesiali, che partendo proprio dalle “isole felici”, dove ci si è salvati, si senta come non mai la responsabilità di vivere questi giorni che verranno non solo per se stessi ma per l’intera popolazione colpita traumaticamente.

Indispensabile il ruolo della scuola. Diceva il premio Nobel Albert Camus: «La scuola non deve ingozzare gli studenti di conoscenze come si fa con le oche, ma deve formare l’uomo e la coscienza civica di ognuno». Sì, i giovani hanno bisogno di ritrovare spirito di coesione, di collaborazione, di progettualità, ritrovare lo sguardo per chi soffre, perché è solo dalla vita che parte l’interesse vero per le conoscenze. Lo affermava anche Maria Montessori per le scuole dell’infanzia.

È necessario, quindi, che i giovani dell’Emila Romagna entrino nel discorso arduo e difficile del rischio che si vive in queste terre, che studino e cerchino le strade per aprire il territorio tutto a una speranza per il futuro. Se le scuole riusciranno a far questo, non solo avranno dato alle generazioni future i presupposti per un impegno sociale solidale e costituzione, ma avranno aperto nel cuore di tutti una breccia contro l’individualismo e il menefreghismo che offende e corrode spesso le aule della politica.

Lo stesso deve avvenire nelle comunità religiose chiamate a “incarnare” nel tessuto della società quella “regola d’oro” che non appartiene solo ai cristiani ma anche ad altre religioni e agli uomini di buona volontà: «Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te. Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te».

Allora tutti insieme, con i nostri 100 e più sindaci, potremo guardare avanti, lottare per la ricostruzione, sostenere l’indigenza attuale, collaborare in tutte le forme possibili, dando visibilità alla proposta che quel lontano giorno Chiara Lubich ci donò: l’impegno sociale e politico nella fraternità perché le diversità sono date non per lo scontro ma per  il dialogo, nel confronto aperto e sereno.

È un sogno. Forse ma occorre saper sognare e come scriveva don Lorenzo Milani sulla porta della sua scuola “I care”, io mi prendo cura di me stesso e degli altri. E se gli altri sono nella sofferenza, io sento che quella sofferenza mi appartiene e devo in qualche modo offrire un aiuto; piccolo o grande non importa.

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