La restrizione del suffragio universale

La mancata partecipazione alle elezioni della metà del corpo elettorale compromette la tenuta del sistema politico. Bisogna interrogarsi seriamente sulla legittimità democratica dei sistemi elettorali che sacrificano la rappresentanza alla governabilità
elezioni

L’introduzione del suffragio universale, ossia il riconoscimento del diritto di voto a tutti i cittadini senza distinzioni e discriminazioni, è stata considerata indubbiamente come una grande conquista di civiltà e caratterizza l’attuale democrazia. Purtroppo, le vicende elettorali degli ultimi anni, e non solo in Italia, dimostrano che circa la metà degli elettori non partecipa alle elezioni, ossia non concorre col proprio voto alla elezione dei rappresentanti in Parlamento. Gli studiosi danno di questo fenomeno diverse spiegazioni, più o meno accettabili. Non mi sembra che si affronti il punto nodale del problema, che è la “restrizione” di fatto del suffragio universale e la sua ricaduta sulla rappresentanza politica.

Che circa la metà dei cittadini aventi diritto al voto non partecipi alla elezione dei rappresentanti politici non può essere un fatto irrilevante o indifferente per la politica e per la democrazia. Anzitutto, bisogna valutare le conseguenze che una tale massiccia astensione ha sulla rappresentatività democratica di un Parlamento eletto solo dalla metà dei cittadini. In secondo luogo, mi sembra che in relazione a tale conseguenza vada valutata l’incidenza del sistema elettorale. Sembrerebbe, infatti, che per invogliare la partecipazione al voto, sia necessaria una legge elettorale che consenta a quanti lo vogliono la possibilità di farsi rappresentare politicamente.  Invece non sembra così.

Oggi, in Italia – considerato che nelle passate legislature era fisiologica un’astensione dal voto del 20-25 per cento degli elettori -, almeno il 25-30 per cento degli stessi non partecipa alle elezioni, non per mancanza di un interesse politico ma perché non trova la possibilità all’interno dell’attuale sistema di una propria rappresentanza.  Mi riferisco al sistema elettorale introdotto dal cosiddetto “porcellum” e a quello previsto dall’Italicum; anzi, quest’ultimo sembra aggravare i difetti del primo, non solo per il premio di maggioranza, che consegna il Parlamento ad un partito che, tenuto conto dell’astensione, ha di fatto un consenso elettorale che non corrisponde alla metà dei cittadini elettori, ma a causa del ballottaggio, previsto nel caso che nessun partito raggiunga la soglia minima richiesta (il 40 per cento dei votanti), perché attraverso il ballottaggio si attribuisce comunque il premio di maggioranza, e quindi la maggioranza parlamentare, al partito che non ha meritato nel primo turno quel premio.

La mancata partecipazione alle elezioni della metà del corpo elettorale è un fatto significativo e non indifferente per la tenuta del sistema politico. Soprattutto in caso di crisi sociale o per altre contingenze questa metà potrebbe assumere atteggiamenti di contestazione del sistema con imprevedibili conseguenze. E’ quindi interesse della pacifica convivenza sociale e della democrazia fare sì che almeno la metà della metà che oggi non partecipa possa essere riammessa nel gioco della formazione della rappresentanza politica. A tal fine, un ruolo importante non può non assumere il sistema di voto. Ormai è invalsa l’opinione che bisogna soprattutto assicurare la governabilità, e a tal fine si escogitano sistemi elettorali in base ai quali si determina “uno” che vince le elezioni e a quest’uno si assegna la maggioranza politica. Bisogna domandarsi se tali sistemi salvino oppure feriscano a morte il principio della rappresentanza politica, e se abbiano quindi solide fondamenta di legittimità democratica.

La “governabilità” esprime un modo d’essere, una modalità, ma non la sostanza del governare. Ciò che conta è come governare, cosa si intende fare; e, questo deve corrispondere alla volontà della maggioranza del corpo elettorale. A fronte di questa esigenza, e soprattutto in momenti di crisi di regime, a me sembra che l’unico modo corretto di elezione – che cioè consenta una autentica formazione della rappresentanza politica – sia il sistema proporzionale, che dà la possibilità ai cittadini e ai gruppi di esprimersi politicamente e farsi rappresentare.

 

Il giurista autore dell’articolo è Presidente aggiunto onorario della Corte di Cassazione

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