La repubblica degli avvocati

Le ultime vicende elettorali richiedono con urgenza un sussulto di dignità. In democrazia la politica la si fa nelle assemblee elette e non nei tribunali.
scheda elettorale

Abbiamo perso tutti nella vicenda delle liste elettorali tardivamente o malamente depositate nei tribunali in vista delle prossime elezioni. Così come abbiamo perso tutti nelle vicende che hanno portato alla ribalta, accanto e addirittura al di sopra dei politici, gli avvocati: dalla Protezione civile alle beghe giudiziarie del premier, dalle collusioni di certi parlamentari con le varie mafie del Paese alle tante vicende di corruzione.

 

Per carità, non ho nulla contro questa nobilissima categoria professionale. Ma, quando la politica finisce in mano sua, vuol dire che il rapporto fiduciario tra eletti ed elettori non va più bene. Vuol dire che non sono più le assemblee degli eletti ad essere i luoghi dove si costruisce la convivenza civile, ma i tribunali, dove ci si dovrebbe invece limitare a regolarla. Non è più il demos, il popolo, ad avere l’ultima parola, ma l’ad-vocatus, colui che viene chiamato (o chiama) in giudizio.

 

Prendiamo la vicenda delle liste elettorali in Lombardia e Lazio: il Pdl e il centrodestra ci hanno fatto una brutta figura, dimostrandosi confusionari e pressappochisti, preda di lotte intestine nella composizione delle liste. Ma anche il centrosinistra ha perso un’occasione d’oro per poter “volare alto”, offrendo alla parte avversa un benestare “dall’alto”, con l’obiettivo di consentire uno svolgimento equilibrato della competizione elettorale, il momento-principe della democrazia elettiva, come più volte ha sottolineato il presidente Napolitano.

 

Ha perso il centrodestra, ancora, perché si è dovuto rifugiare in un’acrobatica soluzione legislativa elaborata dai suoi tanti esperti di diritto che siedono in Parlamento, dando un segnale di arroganza e, in fondo, di disprezzo delle regole del gioco (che non vanno cambiate quando le squadre sono già scese in campo). Ma ha perso anche il centrosinistra, che non si è schierato dietro i suoi cavalli di razza, che invitavano alla moderazione, ma al seguito dei suoi tanti tribuni oltranzisti e populisti che stanno in Parlamento.

 

Cosa fare, allora? Ci resta la nostra sovranità elettorale, che però eserciteremo con grande tristezza nel cuore, osservando le rovine della nostra vita politica, sperando che non si avvii un infinito e pericoloso percorso giudiziario di ricorsi e controricorsi, gestito ovviamente da schiere di avvocati e tribuni. Speriamo proprio che la vicenda da «pasticcio» (come l’ha definita Napolitano) non diventi incubo istituzionale!

 

Un delizioso libretto dell’antropologo francese Marc Augé s’intitola, a proposito, Rovine e macerie. Lo studioso s’interroga sulle espressioni che le macerie possono evocare. In particolare una: distruzione-ricostruzione-restituzione alla luce. Questa è allora la nostra speranza: che si possa ricominciare ad edificare il bene comune, e non quello particolare di un individuo, di una conventicola o di una parte politica. E riportare alla luce il bene comune.

 

Saranno capaci di farlo deputati, consiglieri regionali e assessori comunali? I dubbi sono tanti. Ma dobbiamo sostenerli, questi nostri rappresentanti, non abbiamo alternative. Cominciando col chiedere con forza e determinazione ai nostri parlamentari di cambiare la legge elettorale, permettendoci così di scegliere effettivamente i “nostri” rappresentanti, senza delegarne la scelta ai vertici dei partiti. Così le assemblee degli eletti (in primis il Parlamento) ridiventeranno luogo-principe della democrazia, riprendendo al foro i propri diritti (e anche allo schermo). Perché buona parte dell’odierna cancrena dipende proprio dallo strapotere di chi sceglie gli eletti, indipendentemente dalle urne elettorali.

 

(Ma di tutto questo nella nostra tv pubblica non si potrà parlare prima delle elezioni…).

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