La religione suppone sempre libertà

Il commento di Pasquale Ferrara, esperto di relazioni internazionali, al discorso di Benedetto XVI al corpo diplomatico. «Nella governance internazionale non va sottovalutato l'apporto di fenomeni religiosi»
In dialogo
Nel suo tradizionale discorso di inizio d’anno diretto ai rappresentanti del corpo diplomatico presso la Santa Sede, Benedetto XVI ha presentato una carrellata di tematiche che hanno spaziato su questoni che vanno dalla crisi finanziaria internazionale, ai processi politici che hanno agitato e scosso il nord Africa e il Medio Oriente, alla questione dei giovani, al ruolo dell’educazione e al tema della libertà religiosa minacciata in varie regioni del pianeta. Approfondiamo il tema rivolgendo alcune domande a Pasquale Ferrara esperto in politica internazionale.

 

Non dappertutto è rispettata la libertà di religione. Bisogna allora chiedersi se siamo di fronte a un problema in espansione o se si tratta di fenomeni episodici nel contesto di una tendenza di altro tipo.

«A mio avviso il discorso del Papa credo che vada inquadrato nel contesto di ciò che in analisi politica delle relazioni internazionali è conosciuto come postsecolarismo. Si tratta di un fenomeno che ha implicato la riscoperta della dimensione religiosa nella vita pubblica nazionale in molti Paesi, e questo dopo un periodo in cui il secolarismo è penetrato in tutti i campi della vita civile. In tal senso, esiste anche una riscoperta del ruolo della religione a livello internazionale e direi transnazionale delle relazioni tra popoli. Va poi detto che la libertà religiosa assume in questo contesto una sua centralità, pertanto fa bene il Papa a sottolineare che si tratta di una libertà fondamentale. Anzi, è un diritto umano in certo modo propedeutico a vari altri diritti. In merito ai fenomeni di repressione di questa libertà, spesso ci troviamo di fronte a ideologie o governi con agende politiche precise che catturano la religione in certo modo rinchiudendola in una sorta di prigione. Questa è una contraddizione, perché per definizione la dimensione religiosa è universale e transnazionale».

 

Il Papa ha fatto riferimento anche al terrorismo religioso. Quanto di questo fenomeno ha a che vedere con la religione e quanto dipende da rivalità tribali o da questioni ideologiche o culturali?

«Tra terrorismo e religione esiste una strutturale antinomia, non è possibile neanche ipotizzare l’esistenza di una giustificazione del terrorismo in base a motivazioni religose. Al contrario, in tutte le grandi religioni l’appello è alla fraternità univsersale e quindi alla famiglia umana universale. Di fronte ad atti di terrorismo, bisogna allora indagare sulle ragioni strumentali, spesso politiche, che alcune ideologie adducono assegnando delle giustificazoni religiose ad atti che nulla hanno di religioso. Bisogna poi essere coscienti che il terrorismo ha varia natura e, sebbene sempre ingiustificabile, talvolta esso è la punta di un iceberg che in molte società nasconde un rifiuto della globalizzazione; alcuni si sentono impotenti a resistere ai paradigmi ideologici provenienti dal mondo occidentale e vi si oppongono in forma violenta. Anche questo ha ben poco a che vedere con la religione. Pertanto, bisogna essere molto cauti nell’abbinare terrorismo e religione nel discorso politico internazionale».

 

Il dialogo interreligioso, oggi attivo in molti Paesi al mondo, riesce ad incidere anche sul piano della convivenza pacifica?

«Fino all’illuminismo c’è stata una grande illusione, quella di eliminare la religione dai fattori internazionali. Forse con buona ragione, dato che in Europa abbiamo assistito a guerre che, sebbene si basassero sulla nuova sovranità degli stati e dunque obbedivano a ragioni di potere, talvolta sono state giustificate con moventi religiosi. Pertanto, nel campo internazionale si è sempre guardato con diffidenza alla religione come possibile fattore positivo. Oggi la situazione è cambiata radicalmente. Se prendiamo in considerazione ciò che accadade nel campo della global governance, quando si parla di beni pubblici globali o quando si segnala che siamo parte di un unico ecosistema, scopriamo che molte religioni possono aiutare ad accrescere questo senso di appartenenza comune e quindi anche una coscienza sociale mondiale più forte. Infatti, in occasione dei grandi vertici come quello del G8 e del G20, si fanno presenti leaders religiosi che esaminano la agenda e offrono anche il loro piunto di vista su temi di imporntaza fondamentale di global governance. Quindi, credo si tratti di un fenomeno che va osservato con attenzione ed anche incoraggiato».

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