La recitazione mi permette di essere altro

Intervista all’attore pugliese Michele Riondino, volto noto e popolare del cinema e della televisione, in scena con “Siamosolonoi” di Marco Andreoli, al Piccolo Eliseo di Roma
Riondino

Attore rivelazione degli ultimi anni, al cinema e in televisione (era “Il giovane Montalbano”, il commissario di Camilleri), Michele Riondino proviene dalla scena teatrale. Per dire che il suo talento nasce dal luogo dove il vero attore si forgia e si misura. «Ho bisogno di misurarmi sul palcoscenico e col pubblico dal vivo – confessa –. E’ a teatro che mi sento a casa mia».

Era uno dei Cani di bancata, di Emma Dante; poi in La Pelle di Marco Baliani; quindi in W niatri con Daniele Pilli e Fabrizio Ferracane; e, lo scorso anno, a Spoleto in La vertigine del drago di Alessandra Mortelliti. Eccolo ora di nuovo sul palcoscenico, con Siamosolonoi di Marco Andreoli, accanto a Maria Sole Mansutti. Interpretano due ragazzini, Savino e Ada, mutanti, con alternanza, in atteggiamenti da adulti.

È una storia d’amore e di abbandono; ma anche un piccolo romanzo di formazione, una favola noir, un racconto su un senso di colpa da espiare, sul tempo che cambia le relazioni. Attraverso strategie di gioco messe in atto dai due s’innesca un continuo scontro tra maschile e femminile.

Il gioco da grandi farà emergere verità inconfessate che prenderanno forma dentro la geniale scena: una cucina con i mobili sovradimensionati rispetto all’altezza dei personaggi. Che saltano e corrono, siedono e cadono, con funambolica prestanza, mentre continue sorprese riveleranno l’apertura di ante e cassetti. E sono perfetti i due attori nel rendere credibile ogni parola e azione fanciullesca, trasformate in espressioni e gesti adulti.

L’umiltà, la semplicità, la simpatia, sono le prime caratteristiche che si riscontrano nel giovane attore pugliese. Nel raccontare delle sue origini si mostra fiero di provenire da un paesino vicino a Taranto.

Come ti sei avvicinato al teatro?

«Ho scoperto, su indicazione di mio padre, l’esistenza a Taranto del Crest, Centro di ricerca e sperimentazione teatrale, che organizzava dei laboratori. Sono andato per curiosità. E lì mi è scoppiata la passione. La conferma l’ho avuta facendo i primi esercizi di teatro di gruppo, per me autentiche iniezioni di fiducia. Il primo testo al quale abbiamo lavorato, Aspettando Godot di Beckett, mi ha investito in pieno».

Ti si è aperto un mondo…

«Esatto. Non avevo nessun tipo di bagaglio culturale. Mi piaceva leggere ma non conoscevo ancora molto del teatro. L’esperienza col Crest mi ha dato l’avvio. Avevo 17 anni, e più forte di tutto, era l’esigenza di partire, di andare via da Taranto. Avevo scoperto l’esistenza dell’Accademia Silvio D’Amico a Roma e decisi di provarci».

Cosa ti ha lasciato l’esperienza dell’Accademia?

«La consapevolezza di quello che non volevo fare. In tre anni di scuola non abbiamo mai recitato. E questa cosa non mi è mai andata giù. Devo riconoscere comunque che, facendo molta tecnica, con lo studio minuzioso sulla parola e il lavoro sul corpo, mi ha fornito l’uso dei propri mezzi, delle proprie armi. Non potendo recitare sul palcoscenico avevo tantissima voglia di esprimermi».

E infatti in quegli anni, con altri colleghi, avete creato una valvola di sfogo: la compagnia Circo Bordeaux…

«Che ancora oggi è la mia compagnia. Nasceva proprio dall’esigenza di volerci provare come attori. Già dal secondo anno di Accademia abbiamo cominciato allestendo spettacoli per bambini e ragazzi a Villa Borghese e in piccoli teatri di Trastevere».

Se non sbaglio avete cominciato rappresentando dei testi di Marco Andreoli, l’autore dello spettacolo Siamosolonoi?

«Ci occupavamo di tutto. Abbiamo cominciato a nostre spese affittando i teatri per fare gli spettacoli. Marco scriveva testi espressamente per noi attori. Testi che considero di grande bellezza. Hanno all’interno un meccanismo drammaturgico perfetto, che risolve gli spettacoli direttamente sulla carta. Un po’ come i testi di Beckett che hanno già tutto sul copione, comprese le didascalie. Paradossalmente non ci sarebbe bisogno di un regista per farli».

Quindi il Circo Bordeaux è stata la tua palestra?

«E’ quella a cui, ancora oggi, non voglio rinunciare, pur con le varie difficoltà che ci sono, come quella della promozione degli spettacoli di una compagnia che non ha possibilità di avere un teatro».

Tra le tante prime esperienze importanti a teatro, determinante mi sembra sia stata quella con Emma Dante nel 2005…

«L’incontro con lei mi ha completamente cambiato come attore. Prima ero abituato a interpretare ruoli gentili, buoni, fricchettoni, mai inquieti. Lei ha tirato fuori tutto il “marciume”, cioè le viscere: quella parte che ogni attore dovrebbe imparare a lasciare andare, a non giudicare. Il più grande insegnamento ricevuto da lei è proprio quello di non giudicarsi, perché il giudizio che ognuno fa di sé è quello più cattivo, che ti impedisce di essere libero, di sporcarti, di esagerare. Lavorare con lei è stato totalizzante».

Cosa hai scoperto di te lavorando con lei?

«Ho scoperto che sul palco, così come anche davanti alla macchina da presa, un attore può tirare fuori quello che non è. Può diventare davvero qualcos’altro. Sono convinto che in questo lavoro non deve venire fuori la propria personalità, la propria faccia o voce. Lavorare su qualcosa di completamente opposto a te, permette di creare un altro individuo».

Com’è Michele come persona?

«Uno a cui piace stare sul palcoscenico. Fondamentalmente un timido, che non si esporrebbe mai. Nelle compagnie non è mai stato quello con la battuta pronta, che attira l’attenzione, che gestisce il gruppo. Sono molto introverso. Il teatro, la recitazione mi permette di poter essere altro, per il semplice gusto di pensarla in maniera diversa. Mi piace fare personaggi opposti a me, mettermi nella condizione di fare il nazista (come ne La vertigine del drago, ndr), per esempio, l’esatto opposto che non potrei fare nella vita, perché ho una mia morale, un mio modo di pensare, di comportarmi».

“Siamosolonoi” di Marco Andreoli, scene Fabrizio D'Arpino, costumi Eva Nestori, luci Luigi Biondi, musiche originali Theo Teardo, video Marco Quintavalle, regia Circo Bordeaux. Prodotto da Artisti Riuniti e Palomar in collaborazione con PAV e Teatro della Tosse. Al Piccolo Eliseo di Roma fino al 20/1, e in tournèe.

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