La ragazza che sognava ad alta voce

Venerdì 5 giugno ci sarà la presentazione in diretta web del libro La ragazza che sognava ad alta voce edito da Città Nuova come Passaparola. Per l'occasione, riproponiamo l'articolo in cui l'autrice Elena Granata ci racconta - in video e in un'intervista - la bellissima storia di Elena Sachsel. Il libro è acquistabile dal sito di Città Nuova.

Elena Sachsel, il romanzo vero di una bambina ebrea divenuta un grande medico pediatra. Venerdì 5 giugno alle 18 il libro “La ragazza che sognava ad alta voce” sarà presentato dall’autrice, Elena Granata, che dialogherà con la giornalista Rai Paola D’Angelo. Parteciperà il pediatra Riccardo Bosi. Per partecipare alla diretta è possibile collegarsi via zoom all’indirizzo https://us02web.zoom.us/j/87916758616?pwd=eVc2V1hw-Q3pNMDd2R3U3eVk3TS96QT09

Meeting ID: 879 1675 8616
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oppure seguire l’incontro dalla pagina Youtube di Città Nuova: https://www.youtube.com/user/cittanuovatv/

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Chi è Elena Sachsel e perché hai deciso di scrivere un libro su di lei?
Elena Sachsel è stata un grande medico pediatra che ha speso con intelligenza e amore tutta la sua vita al servizio dei bambini, degli stranieri, delle persone più fragili e in difficoltà. La sua è stata una lunga vita, bellissima, piena di amici e di relazioni, di impegni pubblici, politici e civili.La sua vita ha avuto anche aspetti straordinari. Bambina ebrea, nata a Trieste e poi trasferita a Milano poco prima dell’inizio della guerra, per salvarsi dalla furia del nazismo e dalla caccia agli ebrei, è stata salvata da un piccolo gruppo di suore coraggiose nascosta in una scuola di Besozzo, vicino a Varese. Elena insieme alla sorella è stata nascosta tra le allieve del collegio per due lunghissimi anni. Anni in cui, ragazzina, viveva fuori dal mondo, senza sapere quale destino fosse toccato ad amici e familiari. Elena è stata una dei tanti – ma sempre pochissimi ebrei – che sono stati salvati nei conventi grazie all’intelligenza di una parte della Chiesa cattolica (vescovi, suore e preti) che negli anni della persecuzione ebraica hanno organizzato una rete di accoglienza e protezione. Il nome di Elena e di Noretta è negli elenchi dei bambini salvati. Ed Elena ha capito presto che per lei non c’era posto nel mondo e che, uscita dal suo nascondiglio forzato, avrebbe dedicato tutta la vita alle persone che non hanno posto nel mondo. Ho pensato di raccontare la sua storia, perché abbiamo bisogno di racconti positivi, dove ci sia dolcezza, ironia, leggerezza anche parlando di cose molto serie. Gli argomenti seri e profondi per arrivare a tutti hanno bisogno di uno stile accessibile.

Perché hai deciso di scrivere la sua storia usando la prima persona?
Elena era un vulcano, una donna infaticabile, un motore sempre acceso. Negli ultimi anni della sua vita, quando aveva meno forze per muoversi, ha raccolto molte storie della sua vita, attraverso interviste video, racconti scritti, lettere (molti raccolti dai suoi amici Paola e Gianantonio Arcuni, Lorenza Castiglioni, Patrizia Gruppo). Sono racconti semplici, talvolta ironici, sempre spiazzanti nel loro raccontare storie incredibili come fossero normale amministrazione. Per questo mi è parso di dover mantenere la freschezza del suo narrare in prima persona anche nel libro che ho scritto. Libro che talvolta è letterale nel riportare episodi e pensieri, altre volte è liberamente ispirato dai ricordi di una persona che ho conosciuto, stimato e amato. È lei a parlare. A raccontare il mondo, come lo vedeva lei. Sognava una società in cui c’è posto per tutti. Elena pensava che non c’è mai nulla di impossibile, stava fuori dalle righe, cambiava le regole quando era il caso, scomodava i potenti per i suoi poveri. Il suo “limite”, essere ebrea prima, donna, medico, limitata dalla salute poi, non le ha mai impedito di fare miracoli. O forse è proprio quel limite il trampolino di lancio che ha fatto di lei una grande persona. Sapeva, da medico, mettersi in ascolto dei bambini, li prendeva sul serio nelle loro paure. Li trattava come piccoli adulti, degni di interesse e cura, sperimentando con loro gli strumenti più avanzati della pedagogia e della psicologia. Il messaggio del libro è proprio questo: c’è un’energia che trasforma le nostre vite, genera creatività, cambia il mondo. Un’energia che tutti possono sperimentare e coltivare.

Qual è l’attualità di questa storia ai tempi del coronavirus?
Il libro di Elena arriva al momento giusto. Elena era medico da corsia, ha dedicato tutta la vita all’ospedale. Non si è sottratta alla fatica neppure quando le hanno diagnosticato una malattia invalidante. Non ha mai chiesto di essere dispensata dai turni più pesanti. Era un medico preparatissimo ma anche capace di sovvertire le regole quando necessario. Perché ci sono situazioni che richiedono anche un’assunzione di responsabilità e qualche rischio, come nella cura delle tossicodipendenze, nel servizio di strada con le prostitute, durante le missioni come medico nei Paesi più poveri in Africa e in America Latina. La professione come missione, ma anche come responsabilità civile. In qualità di presidente del Naga, associazione a tutela della salute e dei diritti dei migranti, Elena si è battuta per il riconoscimento della salute come diritto per tutti, anche per chi non ha cittadinanza. Guardava avanti, sapeva trasformare un problema in domanda pubblica e poi in progetto da realizzare. Per questo la sua storia ha molto da dire oggi. Oggi che ci misuriamo al massimo livello con le questioni della salute, della povertà, delle diseguaglianze.

Quali sono le ragioni dell’antisemitismo?
Elena era una comune ragazzina milanese. Andava a scuola, giocava con le amiche, suonava il pianoforte. Poi da un giorno all’altro, dopo il 5 settembre del 1938, come un’intera generazione di bambini ebrei italiani, scoprì di essere straniera, non voluta, talvolta addirittura odiata per la sua origine. Nelle scuole italiane dal giorno dopo rimasero vuoti i banchi dei bambini ebrei, così le cattedre nelle scuole, così nelle università, nei luoghi di lavoro. La costruzione dell’identità di un nemico, un nemico interno, che fino al giorno prima era vicino di casa, collega, parente, è stata la grande operazione riuscita del fascismo e del nazismo negli anni Trenta. Far credere, per decreto, poi con provvedimenti pubblici, poi con arresti, poi con deportazioni, poi con la soluzione finale, che la soluzione ai problemi della società fosse legata alla cancellazione di un popolo. Ma tutta la storia europea dal Cinquecento ad oggi, racconta di questo sentimento latente e sempre pericoloso di avversione verso la comunità ebraica. Per questo ogni minimo cenno di antisemitismo deve trovare vigile la società civile e vorrei dire, i cristiani, in modo particolare. La scelta di Città Nuova di pubblicare la storia di Elena va in questa direzione: Elena è nata ebrea, da ragazza ha scelto di diventare cristiana, si è dedicata a tante opere del Movimento dei Focolari, ma nessuno può appropriarsi della sua identità variegata e complessa. Elena amava l’umanità, si sentiva ebrea e cristiana, aveva amici laici e buddisti, era un’ambientalista della prima ora, era colta e raffinata, ma viveva in una casa piena di disordine e con la porta sempre aperta. Si trovava a suo agio nei campi rom come nelle poltrone della Scala per un concerto. Elena era assolutamente e pienamente umana.

Cosa hai imparato da Elena per la tua vita?
Da Elena ho imparato moltissimo, negli anni della nostra amicizia. Ho imparato che vale sempre la pena di spendere la vita per gli altri, che bisogna avere coraggio e non pensare mai che una cosa sia impossibile o irrealizzabile. Ho imparato che tutte le persone sono uguali: non dobbiamo maggior rispetto al re, al politico, al vescovo, che al bambino o al povero per strada. Elena guardava tutti nello stesso modo, ognuno unico e importante. Era fin surreale in questa sua mancanza di riverenza e di rispetto umano. Chiedeva, bussava, si arrabbiava, tornava a chiedere quando in ballo c’era un diritto negato e calpestato. Non chiedeva mai per sé. Elena strappava miracoli alle mani dei politici, ai potenti, ai ricchi e anche ai poveri. Perché il suo Dio, non era un Dio lontano, che fa cascare miracoli dall’alto, ma un Dio bambino, sconosciuto, anonimo, che si prende cura dei bisogni degli altri. Come faceva lei, con la sua auto sgangherata che arrivava ovunque, quella sua aria svampita e distratta, quella sua noncuranza verso le cose effimere e passeggere. Eppure così amante delle cose belle, della vita, del mare, della musica, di quelle risate con gli amici fino a piangere dal ridere.

Il libro è acquistabile sul sito di Città Nuova 

 

 

 

 

 

 

 

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