La radicalità che la politica deve riscoprire

Un confronto con Vannino Chiti, promotore del dialogo tra credenti e “diversamente credenti” ,nel tempo della crisi della politica a partire dalle sue fondamenta. L’esempio di Sassoli, le sollecitazioni di Mattarella  e i nodi aperti dal Mediterraneo al mondo intero. Un punto di vista che parte dall’esperienza sul campo per Chiti, già presidente della Regione Toscana e ministro per le riforme istituzionali
Politica Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse

Quale politica?  Vannino Chiti è un profondo conoscitore della storia del cattolicesimo politico, con all’attivo diversi testi pubblicati sull’argomento. L’ultimo suo libro tocca la questione sul futuro della sinistra, che sappiamo attraversata da una lunga crisi, soffermandosi in particolare su “Pci e cattolici, una radice della diversità”. Scrive da un punto di osservazione di chi è direttamente coinvolto,  considerando la sua lunga esperienza come presidente della Regione Toscana, dal 1992 al 2000, per poi passare a livello nazionale con diversi ruoli tra cui quello di Ministro delle riforme istituzionali, sottosegretario alla presidenza del consiglio, deputato e senatore.

Andiamo subito al punto. Come si può spiegare la crisi che attraversa da tempo la sinistra in Italia?
Penso che ci sia stata, nell’ultimo decennio, la perdita di consapevolezza dell’importanza di quei valori di riferimento che sono alla base di un progetto di società e poi di un programma di governo.  La politica che non fa comunità diventa così un’organizzazione tecnocratica più o meno competente per gestire l’esistente

Per questo è importante il discorso di Mattarella sulla dignità. A partire da quella di  ogni persona. Se non ci sono questi valori si naviga a vista. Occorre la radicalità, che non è radicalismo ma l’impegno e la coerenza tra ciò che si fa e i valori che si dichiarano.

Senza questa coerenza è difficile parlare di pace, e in particolare nel Mediterraneo, se poi in Libia si è messo in atto quello che è la vergogna del nostro Paese. Perché era certo giusto investire risorse e organizzare dei campi di accoglienza su quel territorio e organizzare dei corridoi umanitari per i profughi verso l’Europa, ma era nostro dovere vigilare che tutto avvenisse secondo i principi dell’ONU e invece sappiamo che lì ci sono dei lager. Ovviamente La Pira non avrebbe avuto questa incoerenza.

Per stare ai nostri giorni, David Sassoli è stato un esempio di quella radicalità che lei ritiene necessaria
In David, del qual ero amico, mi ha sempre colpito il fatto che non nascondeva il suo essere cattolico ma non agitava questa chiara identità come una bandiera: lasciava che parlassero la coerenza delle sue azioni e della sua vita.  Abbiamo visto tutti la sincera commozione, anche in chi non lo conosceva personalmente, a sinistra come a destra, per la sua morte inaspettata. Le persone hanno riconosciuto in lui la coerenza con i valori che praticava e quindi la forza dell’essere mite, pronto all’ascolto e al dialogo con tutti, affrontando il conflitto sulle idee senza scadere nell’attacco contro le persone. Una politica che non ha idee produce un clima di rissa continua che finisce per allontanare le persone fino al fenomeno preoccupante dell’astensionismo crescente. Meno del 50% perfino nelle ultime elezioni locali fino a toccare l’11% dei votanti alle suppletive di Roma per la sostituzione di Gualtieri.

La questione della mancanza della rappresentanza parte da lontano. Lei stesso si è rifiutato di votare la legge elettorale in vigore (Rosatellum) in dissenso con il suo partito per la carenza degli elettori nello scegliere i candidati scelti dalle segreterie di partito…
Non ho votato il Rosatellum anche per una questione procedurale, perché ho ritenuto molto grave che un governo mettesse la fiducia per far approvare una legge elettorale. Un precedente che vedo molto pericoloso. Ora non so se in questi 13 mesi che ci separano dalle prossime elezioni politiche ci sarà il tempo per approvare una nuova legge ma credo che sia almeno necessario evitare, cosi ora è previsto dalla legge Rosato, che al cittadino sia sottratta la sovranità di poter scegliere in maniera distinta il proprio voto proporzionale da quello maggioritario.

Che tipo di legge elettorale ritiene più adeguata per l’Italia?
Ho espresso a suo tempo il mio favore per il Mattarellum (sistema elettorale proposto da Sergio Mattarella e adottato in Italia dal 1993 al 2005 con il 75% eletto nei collegi uninominali e il 25% con il metodo proporzionale, ndr) ma ora credo che sia condizione necessaria anche se non sufficiente per un rilancio dei partiti, una legge proporzionale con lo sbarramento al 5% come avviene in Germania.

Ma che serve votare se poi ad esempio su questioni rilevanti come in politica estera siamo vincolati a scelte decise in sede Nato?
Bisogna saper distinguere l’appartenenza all’Ue con quella alla Nato, non vi deve essere coincidenza automatica per chi vuole entrare nell’Ue. Dobbiamo affrontare la questione della funzione e identità della Nato proprio a partire dal Mediterraneo, in un quadro storico diverso dalla Guerra fredda. Ma la politica estera sembra ormai uscita dall’attenzione dei partiti mentre sappiamo ormai tutti che possiamo incidere sulle grandi questioni geopolitiche solo con una politica estera e di difesa comune da parte dell’Unione Europea, e non dei singoli 27 Stati. E questo è evidente per quanto riguarda l’urgenza di una politica condivisa sulle migrazioni senza la quale abbiamo il Mediteraneo ridotto ad un grande cimitero.  Abbiamo salutato come una liberazione il crollo del muro di Berlino ma ora ci troviamo alla costruzione di nuovi muri.

Siamo l’unica area al mondo dove sono riconosciuti i diritti umani fondamentali ma siamo destinati a perderli se non siamo capaci di diffonderli per rinchiuderci in una fortezza.

Nel discorso del giuramento il presidente Mattarella ha parlato del dividendo della pace post guerra fredda, ma di fatto crescono i nazionalismi mentre le spese per le armi hanno raggiunto il picco in tempo di pandemia…
Un fatto che ci fa capire il vicolo cieco in cui ci stiamo cacciando considerando che mentre aumentavano queste spese non siamo riusciti a condividere i brevetti sui vaccini con tutta la popolazione mondiale.

Sono tutte istanze ripetute senza sosta da papa Francesco. Con quale accoglienza tra i decisori politici?
Il papa scrive le encicliche rivolgendosi a tutti, oltre ogni appartenenza politica, religiosa e culturale. Ma pone i grandi temi di giustizia sociale, conversione ecologica, dignità umana che chi si professa progressista deve affrontare come invito a realizzare quegli obiettivi con politiche concrete. Vedo che nella società esistono tanti esempi di condivisione che rappresentano scelte molto avanzate e coraggiose. Nella mia città di Pistoia ci sono gruppi di persone che si autotassano, secondo criteri di progressività.  per sostenere le azioni della Caritas a favore delle famiglie che la crisi ha fatto precipitare in grave difficoltà.

Il papa si rapporta con i movimenti popolari…
È importante l’azione che oggi viene fatta dai movimenti dal basso ma ciò non toglie che i partiti devono riformarsi, a partire dall’applicazione dell’articolo 49 della Costituzione che ne prevede la democrazia interna, e ricordiamoci che hanno una funzione specifica di anello di congiunzione tra i cittadini e le istituzioni.

Da cosa nasce il suo interesse per la storia del cattolicesimo?
Sono ragioni che attingono alla mia storia personale e poi perché credo che dall’autonomia delle scelte religiose può arrivare un contributo per rendere il mondo più giusto. Gramsci, Togliatti e Berlinguer non erano credenti ma si rivolgevano al mondo cattolico con un interesse autentico e non solo per ragioni tattiche di ricerca del consenso. Se c’è un dialogo vero tutto cambia.

Alcuni pensatori di estrazione marxista (Vacca, Barcellona, Sorbi e Tronti) hanno riconosciuto l’esistenza dell’emergenza antropologica davanti alla manipolazione della vita da parte della tecnica. Argomento da sempre divisorio tra cattolici e “progressisti”.
Credo anche io che sia necessario coltivare il senso del limite quando siamo davanti a questioni che chiamano in gioco la dignità della persona umana di fonte a scelte che non permettono di tornare indietro. La scienza deve avere libertà e autonomia di ricerca ma nel momento dell’attuazione delle sue scoperte occorre una valutazione complessiva davanti alla dignità della persona e ai rischi della distruzione degli esseri viventi nel pianeta.

Questa prospettiva è propria di un pensiero laico di impronta umanistica, ma non le pare che il mondo progressista sia di fatto tiepido sulle questioni sociali per concentrarsi, invece, su altri temi, tipo il Dl Zan?
Sono convinto che sulle leggi che disciplinano i diritti individuali bisogna cercare la più larga e ragionevole convergenza evitando il più possibile di fare battaglie divisive. Ma certo esiste una forte contraddizione tra l’insistenza su questi aspetti senza una contemporanea forte attenzione sulle urgenze sociali come lo scandalo delle morti sul lavoro e l’occupazione precaria che è in larga parte causa anche del gelo demografico che mette a rischio l’Italia e L’ Europa.

Eppure, come osservano molti critici, non sono stati governi di centro sinistra ad aver attenuato lo Statuto dei lavoratori e introdotto il Job act?
Sono contraddizioni da superare perché poi avviene che, come risulta da alcuni sondaggi, i lavoratori, non sentendosi rappresentati, finiscono per votare in maggioranza partiti di destra. Credo che, sul lavoro, sia un buon esempio l’organizzazione approvata in Germania che prevede in società di grandi dimensione la presenza dei lavoratori nei luoghi dove si prendono decisioni sulla gestione delle aziende.

Ma questo “modello duale” non è stato sempre rifiutato dal Pci perché considerato interclassista?
In un primo momento è stato così ma già Berlinguer era d’accordo su tale soluzione, che propose in una consultazione interna al partito. Oggi la posizione di Confindustria non è affatto disponibile ad una partecipazione dei lavoratori al governo delle imprese. Ma questo modello andrebbe adottato a livello europeo per evitare quelle traumatiche delocalizzazioni della produzione all’interno della Ue che pongono i lavoratori in conflitto tra di loro e concedono la massima libertà ai fondi speculativi e ai paradisi fiscali. Non si tratta più solo della crisi della democrazia o di un partito. Dobbiamo capire che se non si riscopre la radicalità in politica alla maniera di David Sassoli è il mondo intero che sbanda.

 

 

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