La quiete tra le tempeste

Dopo il sit in pacifico di questa notte in piazza Tahrir, preannunciata per oggi la “marcia del milione”. Dal nostro corrispondente, le ragioni di chi scende in piazza e chi no
tahrir notte

In un certo senso, era una notizia quasi annunciata: il Consiglio supremo delle forze armate, secondo quanto riferito dalla televisione di Stato, non avrebbe accettato le dimissioni presentate dal primo ministro Essam Sharaf nella serata di ieri. Poco prima dell’annuncio, il nostro corrispondente ci aveva riferito: «Difficilmente verranno accolte, a meno che non ci sia già un nome nuovo pronto a prendere il suo posto. Si creerebbe un vuoto di potere molto pericoloso per il Paese in questo momento». Anche se, come denunciano da tempo i manifestanti e non solo, «a tenere le redini dello Stato in realtà sono i militari: è significativo che, in buona parte delle occasioni ufficiali, ci sia un rappresentante loro piuttosto che uno del governo». Per questo, se le dimissioni fossero state accettate, la rabbia della popolazione sarebbe probabilmente stata ancora più grande: una conferma definitiva del fatto che l’esercito non intende cedere il comando.

 

Intanto, dopo una notte tranquilla, si preannuncia una manifestazione ancora più imponente per oggi. Confermata l’assenza dei Fratelli musulmani: «Tutti questi avvenimenti di piazza mettono a rischio le elezioni – spiega il nostro corrispondente – e loro invece hanno interesse a votare al più presto, perché godono di un forte sostegno popolare». Sostegno che si è radicato negli ultimi vent’anni grazie alla loro vicinanza alla popolazione: «Hanno creato reti di microtrasporti, di distribuzione di cibo, e sono andati incontro a diversi dei bisogni della gente». Chi invece sarà presente in forze saranno i salafiti, che secondo alcuni testimoni oculari hanno organizzato anche dei pullman per raggiungere la capitale: «Si dice che abbiano addirittura ricevuto l’ordine di recarsi ai seggi fin dalle primissime ore della giornata, così da creare dei veri e propri ingorghi a causa della procedura di registrazione molto lunga e scoraggiare la gente, soprattutto i moderati, a votare. Così solo la loro voce arriverà alle urne». Anche in altre città ci sono state manifestazioni e scontri, «ma spesso erano legati anche ad altre questioni, relative alla realtà locale».

 

La data delle elezioni per ora è confermata, anche perché la popolazione, nonostante la paura, desidera andare a votare; tuttavia i dubbi che le consultazioni possano davvero tenersi domenica prossima sono considerevoli. «La gente ha un forte risentimento verso i militari – ci riferiscono dal Cairo –, e vuole passare al più presto ad un governo eletto: ma sarà difficile che le forze armate lascino il potere. Dall’inizio della rivoluzione si stima abbiano arrestato 12 mila civili». Avrebbero pertanto tutto l’interesse ad adottare «una tattica dilatoria, per rimandare le elezioni fino alle presidenziali del 2013».

 

I cristiani, da parte loro, reagiscono in maniera diversa: «La Chiesa copta si sta chiudendo per paura, mentre quella cattolica è più aperta: il patriarcato ha invitato ogni due settimane i vari candidati a presentarsi agli elettori, e tanti giovani sono scesi in piazza».

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