Centinaia di indagati per corruzione
Forse in Italia non tutti sanno che l’espressione “mani pulite”, usata per indicare i casi di corruzione e di finanziamento illegale dei partiti che sconvolsero i nostri anni ‘90, è ormai patrimonio del lessico latinoamericano. L’espressione appare sui giornali della regione ogni qualvolta occorre segnalare un caso similare. Ed è stata usata per riassumere i primi momenti della gigantesca indagine svolta da decine di procuratori del Brasile sulla rete di corruttela che stagnava attorno al colosso statale petrolifero, la Petrobras, e ad aziende ad essa collegate, solo più tardi designata come “autolavaggio” (lava jato).
Il caso lava jato non si è solo fermato alle indagini che hanno ricostruito il circuito di tangenti pagato dalla Petrobras (di almeno 2,5 miliardi di dollari), e da altre aziende. Ma ha anche prodotto condanne a raffica. L’ex ministro José Dirceu del governo del presidente Inacio Lula da Silva, ex guerrigliero ed esponente della sinistra, è uno dei condannati vip: più di 37 anni per tre condanne diverse, di cui due subite mentre scontava la prima e, senza fare ammenda, continuava nei maneggi di fondi illeciti.
Che la corruzione sia un male trasversale, che affligge l’intero sistema, lo dimostrano le decine di condanne contro esponenti del Pt di Lula, ma anche del Pmdb oggi al governo (di cui ne sono membri l’ex presidente della Camera, Eduardo Cunha, oggi agli arresti, ed il presidente del Senato, pure sotto inchiesta), dei socialdemocratici del Psdb e di altri gruppi minori, insieme a circa un centinaio di manager aziendali con pene che arrivano fino ai 19/20 anni di carcere.
Ciò nonostante, si è ben lontani dall’aver concluso le indagini e i processi. Anzi, siamo forse all’inizio di un nuovo terremoto. L’onda sismica parte dalle confessioni di 77 manager dell’azienda edile Odebrecht che hanno patteggiato uno sconto della pena in cambio di rivelare i meccanismi con i quali ripartivano le bustarelle della loro compagnia o di altre aziende invischiate, spesso manipolando i dati e facendo lievitare le fatture. Tra i principali delatori, Marcelo Odebrech, il titolare stesso della compagnia, le cui confessioni (secondo registrazioni trapelate a suo tempo) fanno oggi tremare tutti, a partire dal presidente Michel Temer (Pmdb) ed il suo entourage.
Odebrecht è ormai conosciuta da tutti come un’azienda capace di guidare un sistema raffinato di corruzione, con un ufficio destinato a queste “operazioni speciali”, che ha ripartito finanziamenti illegali e bustarelle in tutta l’America Latina ed oltre. Così in una dozzina di Paesi, tra i quali Argentina, Messico, Colombia, Ecuador e Panama… sono scattate indagini che ad esempio, in Perù hanno portato al mandato di arresto contro l’ex presidente Alejandro Toledo (in fuga all’estero), a una denuncia nei confronti dell’ex presidente Alán García e pesanti accuse contro un terzo ex presidente: Ollanta Humala. Ai tre sarebbero arrivati da Odebrecht una trentina di milioni di dollari. In Colombia la raffinatezza del gigante dell’edilizia è arrivato al punto di finanziare illegalmente sia la campagna elettorale dell’attuale presidente, Juan Manuel Santos, che quella del suo diretto oppositore, Oscar Zuluaga. Non si sa mai.
Cosciente che con la giustizia statunitense non si scherza, Odebrecht ha accettato un patto extragiudiziale ammettendo le sue responsabilità e schivando processi in cambio di una multa di 3,5 miliardi di dollari pagata alla giustizia degli Usa, della Svizzera e del Brasile stesso.
Ma torniamo in Brasile. Le delazioni hanno portato a redigere una lista di un’ottantina di legislatori coperti dalle garanzie legali e per i quali il procuratore generale ha sollecitato presso la Corte suprema federale l’autorizzazione a procedere. I magistrati hanno aperto altri 237 fascicoli in prima istanza contro persone che non hanno le garanzie legali dei legislatori, il che dice l’ampiezza delle indagini in corso.
E il governo del presidente Temer non è esente da timori sul suo futuro. La settimana scorsa ha presentato le sue dimissioni dal governo il ministro degli Esteri, José Serra, più volte candidato alla presidenza. Ufficialmente ha rinunciato per ragioni di salute, ma si sa che le indagini giungono alle sue campagne elettorali. Finora cinque ministri di Temer hanno dovuto dimettersi per motivi legati allo scandalo Petrobras.
Alcuni per aver ammesso, durante conversazioni registrare, che uno degli obiettivi per destituire la presidente Dilma Rousseff era quello di impedire che la giustizia avanzasse nelle indagini e seppellire il tutto in un patto trasversale tra i partiti. Altri due ministri di Temer figurerebbero tra i nomi “eccellenti”; tra questi il braccio destro del presidente, Eliseu Padilha, accusato di gestire la richiesta di “appoggio” formulata proprio Temer ai vertici di Odebrecht.
Appare ormai chiaro che il disegno politico di Temer non era quello di allontanare dal potere una presidente che ha commesso irregolarità amministrative, ma quello più oscuro di mantenere lo status quo di un sistema politico corrotto fino alle midolla.
Qualora si provasse il finanziamento illecito della campagna di Temer, al terremoto politico potrebbe seguire lo tsunami dell’annullamento delle elezioni che lo portarono alla vicepresidenza, a fianco di Rousseff (ed alla quale è succeduto dopo la sua destituzione). Il che potrebbe essere anche la migliore delle ipotesi, per rimescolare le carte e vedere se il sistema politico riesce ad attivare gli anticorpi necessari per uscire da questo tunnel.
Uno di questi anticorpi è finalmente apparso: quello della giustizia statale che, pur con tutti i suoi limiti, ha dimostrato di poter agire con la necessaria indipendenza. Ma, come ha insegnato il recente caso della destituzione della presidente della Corea del Sud, occorre che anche la società civile assuma il compito di chiudere alla corruzione ogni via d’ingresso, rifiutando di appoggiare i leader politici in odore di reato ed esigendo da ogni partito un’opera di pulizia interna.