La pura passione di Letizia Battaglia
«La fotografia l’ho vissuta come documento, come interpretazione e tanto altro ancora. L’ho vissuta come acqua dentro la quale mi sono immersa, mi sono lavata e purificata. L’ho vissuta come salvezza e verità. Con la macchina fotografica ho avuto coscienza di me, di quella che ero». Così si esprime Letizia Battaglia, artista, intellettuale, regista, attivista agguerrita, sempre dalla parte degli ultimi. Quando inizia a mettersi dietro l’obiettivo di una macchina fotografica, mescolandosi con la realtà a lei circostante, è come se ricominciasse a vivere, a trovare la vera sé stessa esprimendo le sue emozioni.
La passione per la fotografia incomincia quasi per necessità: quella di dare da mangiare ai suoi tre figli, di pagarsi l’affitto di una casa a Milano, di sentirsi libera di lasciare la sua Palermo, città per la quale nutre un rapporto di odio e di amore e dalla quale è fuggita per poi tornare e viverci per sempre, dicendo: «Palermo è la mia passione più grande».
Battaglia è nota soprattutto per le sue immagini di morti uccisi nella guerra delle cosche mafiose degli anni ’70. «Mi ricordo il primo cadavere che ho fotografato. Era in campagna, trovato dopo qualche giorno. Emanava un odore terribile nonostante fosse contornato dal verde. E ricordo quella chiazza di sangue che avrei rivisto, identica, per tutti gli anni a venire». Ma lei non vuole che la si consideri come fotografa di mafia. È stata testimone visiva della realtà sociale e politica dell’Italia, dei protagonisti della storia recente, di personalità illustri, intellettuali e artisti, ma anche di gente comune, della nobiltà palermitana e pure della città popolare, negli scorci e nei volti di donne e ragazzi ripresi nei vicoli.
Come quello della bambina col pallone, uno dei suoi primi e più noti scatti, di cui racconta l’incontro: «Passeggiavo per una strada, quando ho visto questa ragazzina che giocava con il pallone. L’ho spinta contro una porta di legno e fotografata così: pallone in una mano e le mille lire nell’altra. Sguardo grave, profondo, quello dei sogni delle bambine. L’ho cercata per anni per sapere qual è stata la sua vita, ma non l’ho più trovata». Tra le sue foto più celebri, quella del 1980 a un giovane Sergio Mattarella che tiene tra le braccia il fratello appena ucciso. E poi poliziotti, giudici e uomini delle istituzioni in prima fila nella lotta contro Cosa Nostra: da Boris Giuliano a Ninni Cassarà, fino al generale Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino. Ma anche mafiosi come Leoluca Bagarella o Salvo Lima, e Vito Ciancimino.
Letizia fotografa con un grandangolo che dà forte enfasi al primo piano rispetto allo sfondo, è sempre in stretto contatto con i suoi soggetti e suscita nell’osservatore la sensazione di essere con lei sulla scena. Perché il suo stile personale, istintivo, la sua geometria compositiva evidenziano sguardi e gesti, sottolineano emozioni, determinano intense relazioni tra soggetto, spazio e tempo. È un vero e proprio viaggio storico ed emozionale l’antologica allestita al museo Maxxi di Roma, un corpus fotografico ricco di immagini piene di dolore ma anche di poesia, di gioia e speranza, di bellezza struggente, per celebrare l’intensa e poliedrica attività dell’ottantenne artista siciliana.
La mostra è articolata in due macro aree: una sezione documentaria che riguarda proprio gli inizi comprese immagini che escono per la prima volta dai suoi archivi e materiali inediti quali provini e schede, note, pagine storiche del quotidiano L’Ora con cui ha collaborato per oltre 20 anni; e una grande installazione, Anthologia, che raccoglie la summa del suo lavoro. Si tratta di un labirinto geometrico di oltre 120 fotografie di grande formato che calano dall’alto, immergendoci in una foresta di immagini sospese. Un viaggio straziante e luminoso, affascinante, crudo, intrigante, per conoscere il talento, l’umanità e la pura passione di una donna del nostro travagliato tempo.
“Letizia Battaglia. Per pura passione”. A Roma, Maxxi, fino al 17/4.