La psiche terremotata

Dalla ferita del sisma alla crescita post-traumatica. Gli studi a L’Aquila a 10 anni dal terremoto: mente e corpo mostrano una capacità di adattamento straordinaria.

Sono ancora centinaia le persone fuori casa a Barberino, nel Mugello, dopo il terremoto che ha colpito la Toscana nei giorni scorsi. Le scosse continuano e tengono alto lo stato di allerta. Una condizione di profondo disagio che accompagna gli eventi sismici più intensi, soprattutto se la devastazione è profonda e si registrano feriti, sfollati, lutti. Il trauma determinato da un terremoto – spiega l’Ordine degli psicologi dell’Abruzzo, colpito dal sisma del 2009 – «è in sé una ferita dell’anima (…) qualcosa di profondo, legato all’identità delle persone, alle certezze di una vita, all’incertezza sul futuro, infatti il terremoto è improvviso e inaspettato, travolge la sensazione di controllo» e causa rabbia e disperazione. Ma l’uomo ha capacità adattive straordinarie. Lo sottolinea il Prof. Alessandro Rossi,  ordinario di psichiatria, direttore del dipartimento di Salute Mentale della Asl1 de L’Aquila:

Professore, quali sono le reazioni più diffuse nella prima fase di emergenza?

Le più frequenti e aspecifiche riguardano un sentimento di apprensione, ansia, legato al timore che l’evento possa manifestarsi di nuovo. Esso può diventare intrusivo, cioè la persona pensa con una frequenza eccessiva a ciò che ha vissuto. Nel caso di un incidente stradale, il trauma resta impigliato nella memoria, la persona fa continuamente riferimento all’evento e comincia ad evitare le situazioni circostanti, come l’orario in cui si è verificato e il luogo, si ritira, evita di guidare. L’evitamento può ridurre il funzionamento dell’individuo che sarà sempre meno autonomo, meno sicuro nell’organizzazione della sua giornata.

Quale sostegno psicologico si può fornire in questa fase?

Può essere sufficiente un incontro di supporto con uno psicologo o psicoterapeuta, non una psicoterapia specifica, per parlare dell’evento, ricollegarlo agli eventi di vita, “normalizzarlo” pensando che la sofferenza è una condizione frequente e può capitare di avere un incidente, una malattia, un caro ammalato. Inoltre, nei gruppi di autoaiuto le persone possono trovare utile ascoltare ciò che ha aiutato gli altri, ed è importante anche assicurare un buon sonno e fornire un impegno quotidiano in attività di gruppo, ricreative, perché chi è sfollato deve interrompere le condizioni abituali di vita e spesso rischia di trascorrere le giornate senza far nulla.

Talvolta il disagio persiste ed evolve in un stato patologico..

Se i sintomi diventano intrusivi e persistenti si può parlare di Disturbo da Stress Post Traumatico (DPTS), per cui la persona diventa irritabile, angosciata, ha incubi notturni e flashback come se rivivesse costantemente l’evento, e si richiedono interventi di tipo psicoterapico e farmacologico. Questa condizione si rileva non a seguito di piccoli stress, ma se l’individuo è coinvolto in eventi di natura estrema per la sua incolumità, o se è testimone di situazioni assolutamente straordinarie. Uno sciame sismico non fa parte di queste condizioni, anche se c’è una variabilità individuale: alcuni possono considerare estremamente pericolose anche situazioni che non lo sono, mentre altri resistono anche a condizioni molto gravi. Per fortuna anche in caso di eventi estremi la regola non è il disturbo ma l’adattamento, la guarigione, l’equilibrio, perché il corpo e la mente sono organizzati per sopravvivere allo stress, anche a guerre, incidenti, lutti.

A L’Aquila, a 10 anni dal sisma e di fronte a nuove scosse, come vive la popolazione?

I nostri studi ci permettono di essere molto ottimisti, perché, pur avendo sperimentato una forte sofferenza, nella quasi totalità dei casi, oltre il 90%, la popolazione ha superato lo stress in maniera assolutamente positiva. Ci sono variabili legate alla persona e al contesto, per esempio all’età e a quanto si è stati colpiti, anche in termini economici, ma di fatto osserviamo che la capacità di adattamento dell’individuo è straordinaria. È emerso anche dopo l’11 settembre a New York, e in chi sopravvive a tsunami. I casi più disfunzionali richiedono un accompagnamento verso l’uscita dal trauma, ma se lo screening è adeguato e l’intervento tempestivo possiamo essere molto ottimisti.

Ci sono anche casi in cui è un’intera comunità che reagisce positivamente. Una ricerca dell’ateneo di Modena e Reggio Emilia, dopo il terremoto del 2012, mostra che il sisma ha favorito l’integrazione fra i più giovani di condizioni sociali, paesi ed etnie diverse: «Gli alunni si vedevano come un gruppo unico, quello delle vittime del terremoto, e desideravano conoscersi e aiutarsi l’uno con l’altro».

È il passaggio dal trauma individuale al trauma collettivo. Studi sul fenomeno riguardano anche il superamento di traumi gravissimi, come l’olocausto, e noi a L’Aquila lo stiamo studiando a distanza di 10 anni. Si osserva che il passaggio attraverso ricordi, anniversari, libri, un’elaborazione culturale, può favorire la rinascita e la ripartenza. Si parla qui di una comunità resiliente che ha una chiara visione del proprio futuro, riorganizza la propria vita, tiene insieme esigenze diverse. Questo può garantire non solo il superamento dello stress ma addirittura una “crescita post-traumatica”, per cui una popolazione, dopo l’evento traumatico, sviluppa condizioni di adattamento addirittura migliori. Quindi possiamo avere fiducia nelle enormi capacità adattive dell’uomo e delle comunità.

 

 

 

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