La prova del nove per Pedro Sánchez

Dopo dieci mesi di governo, farà chiarezza – almeno lo si spera – nel rebus delle elezioni: il premier approfitterà del suo esecutivo o tornerà la destra?

Domenica 28 aprile sarà la data in cui Pedro Sánchez, attuale primo ministro spagnolo, potrà verificare se la mozione di censura che gli ha permesso di occupare Palazzo della Moncloa e presiedere il governo negli ultimi dieci mesi era stata indovinata o meno. Dietro le elezioni generali convocate anticipatamente, così come dietro la strategia politica portata avanti prima e durante questo periodo, c’è la mente acuta di un consigliere politico di nome Iván Redondo. Qualcuno l’ha definito come il creatore del «marchio Pedro Sánchez, che vende più del marchio Psoe», il partito di cui è leader. A soli 38 anni, Redondo è considerato tra i migliori consiglieri politici del Paese e si dice che Sánchez non prenda una decisione importante senza prima consultarlo.

Lavorare oggi in politica vuol dire usare una buona dose di marketing: ed è qui che interviene Redondo. Quale direttore del gabinetto del primo ministro, lavora discretamente nell’ombra, svolgendo un’attività che nel gergo giornalistico qui in Spagna piace definire di “idraulico maggiore”, perché incaricato di ripulire le tubature nelle quali circolano i liquidi del potere, e cioè, conosce molto bene l’arte di negoziare. Domenica 28 sarà anche per lui una prova del fuoco.

I sondaggi pubblicati nell’ultimo mese, in genere, danno come vincitore il Psoe di Pedro Sánchez, anche se con percentuali diverse a seconda di chi li ha elaborati. Ecco perché l’agenzia Europa Press ha voluto elaborare un ultimo sondaggio di sintesi che mostra la media delle inchieste realizzate da una ventina di agenzie diverse e pubblicate in vari giornali. Questo calcolo della media attribuisce un 29,5% dei voti al Psoe, seguito dal Pp con un 21,4% (sono i due partiti tradizionali), e dietro di loro il liberale Ciudadanos con un 14,6%, la sinistra di Podemos con 13,4%, e l’estrema destra di Vox con un 9,9%. Quest’ultimo partito, come è già accaduto nelle elezioni regionali dell’Andalusia nel dicembre scorso, potrebbe raggiungere per la prima volta una rappresentanza nelle istituzioni nazionali. Infatti, il caso andaluso fa tremare Sánchez, perché in quella regione le forze di destra (Pp e Vox, con l’aiuto di Ciudadanos), dirigono oggi la politica dopo 40 anni di governi socialisti.

L’ultima parola ce l’hanno gli indecisi, così almeno affermano gli analisti. Si calcola che tra il 25% e il 30% dell’elettorato non sappia bene a chi dare il suo voto. Anzi, secondo Belén Barreiro – autrice dell’inchiesta “40dB” per il quotidiano El País -: «La cosa più significativa dell’indecisione è che quattro indecisi su dieci affermano che decideranno il voto nelle ultime ventiquattro ore». Viene da chiedersi allora quale significato e incidenza reale abbiano i dibattiti elettorali trasmessi dalle tv, forse l’operazione di marketing più “teatrale” inventata dai politici. I due dell’ultima settimana, il primo sulla televisione pubblica Tve e l’altro sul canale privato La Sexta. Quello di Tve, più moderato, è riuscito a radunare davanti agli schermi oltre 7,2 milioni di spettatori; ma, pur essendo stata la trasmissione preferita del pubblico (35,8% di share) è stato il dibattito meno visto della storia, molto lontano dagli oltre 13 milioni che videro il confronto tra Zapatero e Rajoy nel 2008. Come convincere gli indecisi? Ecco il grande punto interrogativo a cui nemmeno Iván Redondo sa probabilmente rispondere.

 

 

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