La protesta vista dai professori

«I miei studenti si sono vista derubare la speranza. Media e politica devono farsi un'esame di coscienza». Ci scrive un docente del Galilei di Roma
Assemblea studenti
La mia scuola, l’ ITIS Galilei, è occupata dagli studenti da circa 10 giorni e dentro si respira la stessa aria di mobilitazione e proteste di diversi Istituti della città e non solo. Parlando con gli studenti sono rimasto colpito dalla determinazione con cui stanno gestendo la contestazione. Il senso di sconcerto, la rabbia che covava in loro da chissà quanto tempo era grande. I motivi sono vari e compositi, ma il disagio generale  è più profondo e lo si può capire presto.

 

 

Reclamano attenzione alla loro voce, registrano un appiattimento generale: dappertutto si parla solo di economia, di crisi, di tagli, di mancanza di diritti e di servizi. Denunciano  la mancanza di speranza ed un venir meno del clima di fiducia col mondo degli adulti,  i tagli indiscriminati alla cultura ed alla scuola pubblica, l’incertezza sociale e la mancanza di lavoro,  gli scandali, il malaffare, la corruzione che si respira ad ogni pagina dei quotidiani, ad ogni reportage dei tg che portano alla ribalta solo il latrocinio della classe imprenditoriale e politica e lasciano loro un messaggio press’a poco del tipo : "Tanto il mercato è bello che spartito e non c’è posto per chi non è arruffone e intrallazzino come noi".

 

Si sono sentiti derubare la speranza non solo in una vita dignitosa e serena, ma soprattutto la possibilità di mettere in pratica quello che i genitori onesti e gli insegnanti motivati avevano loro trasmesso: che c’è sempre lo spazio per impegnarsi, per affermarsi  camminando con le proprie gambe, senza trucchi e senza inganni, senza bustarelle, senza conoscenze e connivenze, che c’è sempre la possibilità di un lavoro dignitoso per realizzare un progetto di vita semplice come quello di mettere su una famiglia con la persona che si ama. 

 

Ma alcuni adulti (non tanti) come noi, che vi hanno sempre creduto, di fronte all’offensiva dei nuovi manager o dei nuovi e rampanti opinion leaders, ultimamente sono diventati una esigua minoranza e senza più voce in capitolo, bocciati senza appello dai continui condoni, ‘omaggio’ agli intrallazzatori e ai ‘fuori-legge’, da leggi ad personam, da sentenze giudiziario-politiche a dir poco scandalose, si sono  eclissati. E allora forse abbiamo smesso di far sentire la nostra voce, abbiamo abbassato il tono della protesta verso un modo di fare mafioso e/o camorristico, abbiamo attenuato l’ indignazione verso tutto ciò che è disumano, sfruttatore/oppressivo, vergognoso, verso i carichi di disperati/clandestini portati nel deserto a morire, verso conferenze sul clima/fame nel mondo immancabilmente inutili, verso lavoratori usati e poi traditi dallo Stato, collocati sul marciapiede senza scampo e senza considerazione alcuna per le loro famiglie, i figli, la loro stessa dignità.

 

Loro forse, i giovani delle nostre scuole, gli studenti che pensavamo di proteggere, hanno iniziato a sentirsi morire  dentro e noi non ce ne eravamo accorti.  Poi è bastata una scintilla, quella dei ricercatori dell’università senza più contratti  e senza più   la concreta speranza di entrare a tempo indeterminato nel lavoro universitario, sono bastati tagli indiscriminati al settore pubblico mascherati da ‘riforma’, sebbene di una riforma ce ne fosse urgentemente bisogno, e loro sono esplosi. Forse non sarà come nel ’68, ma il segnale ci obbliga a riflettere e a cambiare rotta.

 

La scuola è un luogo di confronto anche sugli orientamenti morali, di scelte strategiche per l’esistenza valide in tutti i campi, lasciando  da parte lo stile dei furbetti, degli evasori e degli speculatori  senza farlo diventare un modo di sopravvivere o un modello dell’agire sociale al pari degli altri, luogo di opzioni capaci di  raccogliere la loro voglia di crescere e di realizzarsi e di dare spina dorsale alla sensibilità sociale di un popolo come il nostro. Al di là del nostro quieto vivere, comunque  fondato su un equilibrio precario e fragile, questi ragazzi ci stanno dicendo che è ora di mettersi al tavolo seriamente. E’ ciò di cui hanno bisogno e questo reclamano di  discutere con noi. Eludere questo appuntamento in un mpomento così delicato significherebbe lasciare la nostra barca, senza remi e senza motore, al suo destino, ma questo credo che in cuor suo non lo voglia nessuno.

 

Pino Palocci, docente dell’Istituto Tecnico Industriale  Galileo Galilei di Roma

 

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