La profezia della città plurale

A ogni momento del procedere della storia corrisponde, di fatto, una figura di città, che esprime l’equilibrio raggiunto al tempo stesso che lo apre a una tappa altra e nuova.
Folla di persone

Le nostra città sono sotto assedio. A motivo dell’imponenza delle trasformazioni che agitano la nostra epoca e destrutturano il nostro mondo: movimenti migratori, globalizzazione dei mercati, crisi economica e, prima, dello spirito, tecnologizzazione del progetto dell’esistenza…
Le sfide non sono né poche né piccole. Occorre dunque prendere coscienza, con sguardo largo e profondo, di che cosa la città rappresenta nella storia dello spirito. Essa, certo, è prodotto di cambio culturale, di processo economico, di necessità strategica: ma, in origine, è dilatazione e arricchimento del destino libero e responsabile della persona che intreccia rapporti stabili e multipli e costruisce un’impresa comune, proprio così coltivando la sua  identità.

A ogni momento del procedere della storia corrisponde, di fatto, una figura di città, che esprime l’equilibrio raggiunto al tempo stesso che lo apre a una tappa altra e nuova. La città è profezia che spinge da dentro l’uomo verso quel sé stesso che è al di là di sé.

Ecco il paradosso che viene a giorno nella storia d’Israele, il popolo che nasce e vive nell’esodo, e che perciò è sempre di nuovo chiamato “fuori”. Fino a prendere figura ideale in quella città “plurale” – annunziata dai profeti – verso cui sono incamminati tutti i popoli: Gerusalemme. Lo canta il Salmo: «Si dirà: “L'uno e l'altro in essa sono nati”. Il Signore registrerà nel libro dei popoli: “Là costui è nato”. E danzando canteranno: “Sono in te tutte le mie sorgenti”» (Sal 87 (86), 2-7).
Questa profezia ci dice che oggi la città può e deve  diventare ciò che è per vocazione: luogo realistico dell’esercizio di quell’umanità sempre nuova dell’uomo che nel nostro tempo bussa con forza alla porta.
Questo non significa dimettere la propria identità, come non significa imporre la propria identità. Né significa semplicemente imparare a convivere l’uno a fianco dell’altro. Significa, piuttosto, conoscersi e accogliersi reciprocamente, facendosi l’uno dono per l’altro.

Idealismo? Utopia? No. Profezia, appunto. Da pagare a caro prezzo. Non basta un programma gestionale che sappia affrontare le urgenze. Non basta la riaffermazione dei princìpi etici che debbono mobilitare e orientare le coscienze. Occorre ridestare lo spirito della città. Nella consapevolezza della sua vocazione all’esodo, all’ospitalità, all’incontro.
Nella consapevolezza grata e impegnativa, per i discepoli di Gesù, che Dio per primo è uscito “fuori” di sé, verso l’uomo. Facendosi carne fino a identificarsi con l’escluso.

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