La procreazione assistita e la diagnosi preimpianto
Una recente sentenza del Tar del Lazio (n.4047 del 23.5.2005) consente di mettere a fuoco un principio importante contenuto o, per meglio dire, ricavabile dalla (orami famigerata) legge n.40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita, e cioè che la diagnosi preimpianto dell’embrione è vietata quando è condotta con finalità eugenetiche. In effetti nella legge (art. 13) è espressamente vietata la selezione eugenetica, e cioè la scelta dell’embrione in base alle caratteristiche geniche, ma non la diagnosi preimpianto in sé. Più precisamente il divieto di diagnosi preimpianto con finalità eugenetiche è contenuto solo nelle cosiddette Linee guida, che stabiliscono i princìpi disciplinanti le procedure delle tecniche della procreazione assistita emanate dal Ministero della Salute nel luglio 2004; ma nella legge n.40 non si parla di divieto di diagnosi preimpianto. Ciò nondimeno i giudici amministrativi laziali hanno sostenuto che, non potendo attuarsi alcuna selezione degli embrioni in base alle loro caratteristiche geniche, nemmeno se malati, se ne deve desumere che anche la diagnosi preimpianto con le suddette finalità sia vietata e che anzi ciò resta confermato da altri divieti espressi contenuti nella legge, come quello di qualsiasi sperimentazione e quello della ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano, consentita – quest’ultima solo a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative. L’indagine genetica preimpianto, infatti, consistendo nel prelievo di una cellula per esaminarla, sarebbe al più consentita esclusivamente nell’interesse del concepito, da considerarsi soggetto di diritto al pari delle persone nate (come si desume anche dall’art. 1 della legge), ma certamente non è consentita quando sia svolta con finalità eugenetiche. Insomma seppure il divieto di diagnosi preimpianto non è chiaramente enunciato, esso si desume dall’impianto complessivo della legge. Inoltre il Collegio laziale nella medesima sentenza ribadisce altri concetti importanti e connessi allo spirito della legge n.40, e cioè: 1) il metodo di procreazione artificiale ha il solo fine di favorire la risoluzione dei problemi legati alla sterilità ed infertilità, non certo quello di selezionare il figlio potenzialmente migliore; non esistendo un diritto dei genitori a conoscere lo stato di salute degli embrioni che prescinda dalla tutela dell’embrione stesso, riconosciuto come soggetto di diritto . 2) non ha senso invocare la legge n.194/78 sull’interruzione volontaria della gravidanza per giustificare la diagnosi preimpianto: la suddetta legge, infatti, si preoccupa di tutelare la donna in previsione di un serio o grave pericolo relativo alla sua salute fisica o psichica e nascente dalla gravidanza; la legge n.40/2004 si pone in una prospettiva completamente diversa, preoccupandosi di assicurare al nascituro gli stessi diritti spettanti alla persona già nata. Princìpi – come si vede – su cui forse vale la pena di continuare a riflettere con attenzione.