La Procida di Elsa Morante: l’isola come Patria e salvezza
“L’isola come Patria” così titolava un articolo pubblicato sul Corriere della Sera da Carlo Bo il 26-XI-1986 in ricordo di Elsa Morante scomparsa in quei giorni. Uno degli articoli più incisi e appassionati apparsi sulla stampa per onorare la scrittrice.
L’autore, senza indugio, poneva la Morante tra le più acute e attente conoscitrici «delle tragiche ragioni del nostro tempo». Di qui il suo rifugiarsi nella fantasia per sopravvivere. Una fantasia che aveva bisogno di un luogo e di un tempo in cui inverarsi, dove il vedere e il sentire potessero coniugarsi intimamente. E questo connubio lo trovò pienamente realizzato nell’isola di Procida dove ambientò uno dei suoi più fortunati romanzi L’isola di Arturo. L’autore chiudeva il suo articolo con parole di grande visione, giungendo a considerare, per la Morante, l’isola proprio come Patria e salvezza dalla tragedia del suo tempo: «Per salutare una delle grandi scrittrici del novecento ci sembra che la sola cosa da fare sia questa: renderle un segno di simpatia per ciò che ha lasciato, soprattutto per il suo impavido amore reale e fantastico dell’uomo che ha scelto l’isola come patria, come salvezza».1
Carlo Bo, forse è stato l’unico critico italiano che entrando con slancio e amore nella letteratura e nella vita della Morante vi intravide la centralità dell’isola nella sua vita, isola che per lei si era poi materializzata in Procida una delle più piccole e selvagge isole italiane.
Lo stesso Alberto Moravia, marito di Elsa, che pure aveva amato Procida e scritto stupendi articoli sulle Vie d’Italia sembrava lontano da questa visione e quasi non si accorse di quanto fosse stata importante Procida nella vita di sua moglie.
Egli infatti in un articolo sull’isola di Procida pubblicato nel 1960,2 tre anni dopo che L’isola di Arturo aveva ottenuto il Premio Strega, non citò il romanzo della moglie, e intitolò lo scritto semplicemente L’isola di Graziella, facendo solo riferimento al personaggio dell’omonimo racconto del poeta francese Lamartine che aveva fatto conoscere ed amare Procida agli europei fin dall’ottocento.
Infatti in una conversazione che Moravia ebbe con Jean-Noël Schifano3, dopo la morte di Elsa, parlando delle ceneri sparse nel mare dell’isola amata, lui così si espresse: «Hanno gettato, me lo hanno detto, le sue ceneri nel mare di Procida, l’isola di Arturo, dove lei ha attinto l’ispirazione – però il romanzo non l’ha scritto sull’isola, ma a Roma, sotto i miei occhi», quasi a voler sminuire il valore che quell’isola ebbe nella vita di sua moglie.
Ma sappiamo che solo in una profonda e intima assimilazione tra un luogo e l’anima dell’artista può generarsi l’ispirazione per una grande opera. Pensiamo inoltre che aver desiderato spargere le proprie ceneri nel mare di Procida sia un segno incontrovertibile dell’amore assoluto che la scrittrice ha nutrito per l’isola, un’isola che le aveva dato ispirazione per uno dei suoi più importanti romanzi, e nella quale si era trovata a casa, pienamente immersa nelle sue straducce, nei suoi cortili nelle sue acque, intravedendovi la possibilità di una salvezza.
D’altra parte aveva più volte affermato che l’adolescenza di Arturo era il riflesso della sua adolescenza, per cui si può intuire che Procida era diventata la sua isola, il luogo dove sempre avrebbe voluto tornare e, forse, morire.
Lo intuì, infatti, un’altra grande scrittrice, Anna Maria Ortese, per un’assonanza interiore e poetica, strada diversa da quella critica operata da Carlo Bo, che le permetterà di dire parole che nessuno mai aveva rivolto alla Morante.
Il tutto avvenne nel settembre del 1988 a Procida, quando la Ortese fu insignita del Premio “Procida-Isola di Arturo-Elsa Morante” . La Ortese non potendo essere presente alla cerimonia inviò in messaggio ai procidani di grande bellezza.
Ricordando il giorno in cui aveva incontrato per la prima volta Elsa Morante, ne sottolineò la genialità e il dono generoso offerto alla letteratura europea con le sue opere, e infine rivolgendosi a lei come se fosse presente nell’isola, ricordando la sua difficile e complessa esistenza, osò dire: «Non dispiacerti più, Elsa, di tutte le cose passate. Ora non danno più male, ora non accadranno più. E resta, per favore con noi, stasera; fai festa alla tua fanciullezza e alla tua gioventù spaventata. Sei in Patria. Tristezza e paura non ci sono più. Molti amici e anche questo mare ora ti difendono, ora per sempre ti vegliano e ti amano».4
La Ortese, quella sera, consegnava Elsa Morante ai procidani e a quel mare dove lei riposava come una figlia amata. Ancora una volta l’isola come Patria e salvezza.
Sappiamo che fin quando visse, Elsa Morante tornò altre volte da sola nell’isola patria, come la più naturale e semplice delle donne, quasi nel nascondimento. Non facendo proclami, non presentandosi ai politici, ma semplicemente vivendola, percorrendo i suoi giardini, accogliendo un bicchiere di vino dai contadini nelle campagne che visitava, fermandosi accanto a gruppi di bambini per raccontare le sue favole, accarezzando i gatti che le saltavano in grembo.
Un isola vissuta come salvezza soprattutto nell’ultimo periodo della sua vita.
Lo ha testimoniato anche Tonino Ricchezza, un giovane napoletano senza famiglia che lei incontrò in tarda età e lo elesse a figlio putativo usando per lui parole sublimi: «All’adorato Tonino, principe di tutti gli Angeli e di tutti i Cesari, con tanti baci” oppure “Al caro Tonino, vero salvatore del mondo».
Rinchiuso in un collegio per 15 anni dalla nascita, Tonino che visse non senza difficolta la sua vita nella caotica Napoli dei quartieri, incontrò Elsa a Nola negli anni 70 in una festa popolare. Un’amicizia materna e filiale che non si interruppe più fino a morte. E, ogni qualvolta la Morante si recava a Procida per più giorni, chiedeva a Tonino di accompagnarla.
Sarà Tonino Ricchezza, testimone dell’amore profondo che Elsa nutriva per l’isola di Procida entrata nelle fibre più intime della sua anima, ricordando il suo primo incontro con Elsa, a raccontarci: «Dopo il nostro primo incontro, mi invitò per una settimana a Procida, il giorno seguente partimmo per l’isola che lei amava molto, facemmo delle lunghe passeggiate, si parlava più di me che di lei»5
I pescatori di Marina Chiaiolella, una delle tre Marine di Procida, ricordano ancora quella coppia insolita, lei avanti negli anni con un foulard in testa e questo giovane napoletano alla ricerca di un gozzo. Pensarono ad un madre con un figlio ma poi si accorsero che diverso era il linguaggio e il comportamento di entrambi. Trovato il gozzo li si vedeva partire e prendere il largo. Si Elsa aveva trovato in Tonino quel figlio mancato e lui ci testimonia il grande amore e la nostalgia che spesso lei sentiva dell’isola. Da qui forse il suo desiderio di spargere le sue ceneri in quel mare.
Anche per Tonino Ricchezza Procida era diventata, come per Elsa, Maternità Patria e salvezza. Sì Tonino prima a Procida e poi nella casa romana di Elsa, sperimentò la maternità della scrittrice per lui. E fu a lui che Elsa lasciò parte della sua eredità.
Nel 2003 la scrittrice Isabella Bossi Fedrigotti in un articolo comparso nel sulle pagine del Corriere della sera parlò del romanzo L’isola di Arturo come il romanzo più nostalgico della Morante. Scrisse infatti:
«Sollievo …viene dall’isola che resterà per sempre l’isola di Elsa Morante: dal suo paesaggio aspro, dai suoi edifici e personaggi antichi, dai vicoli ombrosi, dagli strapiombi, dai silenzi, dalle estati lunghe sei mesi, dalle spiagge di sabbia calda, dalla sua bizzarra diversità e lontananza, pur nella vicinanza rispetto alle altre isole dell’arcipelago. E quando Arturo s’imbarca, appena sedicenne, sul piroscafo che lo porta via da Procida verso la terraferma, non più probabilmente alla rincorsa dei suoi eroici sogni di avventura e libertà, bensì in fuga dal non più sopportabile dolore, sono il pensiero e la memoria dell’isola che gli danno pace. Non, dunque , natio borgo selvaggio dal quale salvarsi a tutti i costi, ma care e amate sponde che, chiudendo gli occhi, egli rifiuta di vedere per non sentirsi straziato».6
Anche noi, con la Bossi Fedrigotti, amiamo pensare che ogni volta che la Morante lasciava l’isola, come per Arturo, anche lei chiudesse gli occhi per non sentire lo strazio del distacco da quell’isola che aveva eletto a sua patria e che le donava gioia e un senso di pienezza per i sui giorni.
1 Carlo Bo, L’isola come Patria, Corriere della sera 26-11-86
2 Alberto Moravia, L’isola di Graziella, Le vie d’Italia dicembre 1960
3 Da Cahiers Elsa Morante a cura di Jean-Noel Schifano e Tjuna Notarbartolo, Edizioni Scientifiche Italiane 1993
4 Ibidem.
5 Ibidem.
6 Isabella Bossi Fedrigotti, Elsa, un ragazzo e il mare sotto il sole del passato, Corriere della sera 10 marzo 2003