La priorità dei rapporti sociali
La crisi della democrazia in Occidente ha portato diversi studiosi ad ipotizzare l’arrivo di un’era “postdemocratica”, con conseguenze incalcolabili e certamente non positive. Adrian Pabst, docente di teoria politica a Kent, ha reagito a questa congettura (L’Occidente va verso un dispotismo democratico?, Vita e Pensiero, 2019) affermando che essa, pur contenendo elementi che colgono l’elemento critico del sistema democratico, non centra il problema di fondo. Questo consisterebbe, invece, nell’andare più in profondità nella realtà politica odierna per ravvisare le vere minacce alla democrazia, che a suo avviso sono tre: irruzione di una nuova oligarchia (élite partitiche, burocratiche ed economiche), nascita del populismo demagogico e rischio anarchia. Tutto questo a spese dei legami sociali che, in questa prospettiva, vengono drasticamente indeboliti.
Penso che l’analisi di Pabst sia sostanzialmente lucida. Oggi siamo alle prese con una sorta di “dispotismo democratico” (parole sue), che si alimenta di manipolazioni subdole ma efficaci, soprattutto tramite il controllo dei mass media, dove la menzogna regna senza contrappesi, evidenziando la riduzione ai minimi storici dell’ethos nella gestione della casa comune.
Da qui lo smarrimento del cittadino normale, la crescente sfiducia nel sistema rappresentativo e il conseguente deficit di partecipazione sociale. Ognuno cerca di rifugiarsi, come può, nel suo piccolo spazio domestico, lasciando lo spazio pubblico all’azione di gruppi sempre più estremisti e radicali. A tutto questo bisognerebbe aggiungere la carenza di visione storica – quella che ci fa sentire parte di una tradizione carica di valori faticosamente conquistati nel tempo –, come frutto di un sistema educativo tutto improntato al valore dell’efficienza e della competitività.
Per non parlare del sospetto che ricade sempre più fortemente sulla magistratura, cioè sulla struttura giuridica delle società democratiche, provocando un senso di sconcerto che rasenta lo sgomento, specialmente quando si costata come chi coltiva la corruzione riesca quasi sempre a cavarsela.
Alla fine del suo articolo, Pabst cita Pierre Manent, per il quale l’uomo democratico «è l’uomo più libero che sia mai esistito e al tempo stesso il più addomesticato». Certo, come afferma il politologo di origine tedesca, per salvare la democrazia è necessario superare il liberalismo stretto e puntare verso un “governo misto” (non oligarchico). Ma, a mio avviso, più decisivo ancora è ciò che lui stesso precisa quando afferma che «la supremazia dello Stato e del mercato sull’associazione umana può condurre a un sistema democratico che instilla un senso di “servitù volontaria”».
Ecco il nocciolo della questione: il rafforzamento dell’associazione umana. Come farlo? Penso che un simile traguardo necessiti di un progetto educativo di alto livello, profondo e universale, con basi antropologiche ed etiche chiare e convincenti. Siamo molto lontani da un orizzonte di questo tipo, ma è urgente camminare in questa direzione. In definitiva, si tratta di radicalizzare (nel senso di andare alla radice) la democrazia, superando la supremazia della politica. Bisogna cominciare dal basso e da ciò che è primo: i rapporti sociali fondati sulla dignità della persona umana e dei popoli. La politica in senso stretto viene dopo. Questa estate, il sindaco di una città europea – uomo giovane, franco, disponibile e generoso, che riscuote grande consenso tra i suoi concittadini – mi confessava che il segreto del suo successo è che lui non è un politico, ma un semplice amministratore dei rapporti sociali. Cosa che cerca di fare tenendo fermo il principio della supremazia della persona.