La primavera delle quote rosa
Almeno nella musica le quote rosa funzionano. E alla grande, a giudicare da quel che si sente in giro ultimamente. Il prossimo 2 giugno, la Pausini sarà la prima cantante italiana a tenere un concerto in uno stadio: certificazione inoppugnabile di una popolarità e un peso acquisito negli anni, senza sensazionalismi ma con una costante, cocciuta, ed ambiziosa applicazione. Certo, qui come altrove, l’emancipazione in atto non può certo dirsi compiuta, ma il trend è palese, anche a prescindere dal potenziale simbolico di un evento certo significativo, ma isolato. Tant’è che se si dà un’occhiata alle uscite di questa primavera ci si accorge che le proposte più stuzzicanti giungono proprio da personaggi femminili. E la cosa più interessante è la difformità stilistica e caratteriale che le caratterizza. Qualche esempio. La prima opera degna di nota è Twelve della rediviva icona rock Patti Smith. A sessant’anni suonati ha ancora carisma e grinta da vendere. Qui la si ascolta cimentarsi con una manciata di classici, scelti e reinventati più per affinità elettiva che per parentela stilistica; alcune citazioni (dai Doors ai Nirvana, da Dylan agli Stones) sono assai prevedibili, altre (dai Tears for Fears a Stevie Wonder) assai più sorprendenti. Ma tutte le cover proposte, addosso a lei, risultano calzanti, così che il lavoro risulta omogeneo, intenso, e coerente. Esattamente come l’agrodolce American Doll Posse, attesa rentrée di Tori Amos, una delle migliori cantautrici del rock statunitense odierno. Tutta da scoprire è invece la giovane canadese Terez Montcalm; con la sua recente quarta prova discografica Voodoo s’è lanciata alla conquista dei mercati europei, e l’impresa non appare impossibile vista la classe con cui riesce ad alternare standard jazz, classici pop e composizioni autografe: immaginatevi il piglio rockettaro di una Janis Joplin mediato dalla morbidezza soul di una Anita Baker e dalla sensibilità pop di una Annie Lennox. Paragoni che potrebbero apparire iperbolici, ma se ci buttate l’orecchio, probabilmente cambierete idea. Decisamente godibile è anche il nuovo album di Macy Gray, uno dei talenti più limpidi sfornati dalle fucine della black music. Col tempo il suo modernismo hiphop ha pian piano virato verso un’ipotesi di pop-soul che privilegia la tradizione all’innovazione, ma senza perdere in forza comunicativa. Molto più convincente di ben più osannate colleghe tipo Beyoncè o Mary J. Blige. Una citazione la meritano anche Angelique Kidjo e il suo nuovo Djin Djin. L’artista del Benin è ormai una delle punte di diamante della worldmusic planetaria, e questo suo nono album sembra fatto apposta per consacrarla tra le voci più suggestive dell’Africa del terzo millennio. Ambasciatrice Unicef, portavoce dei drammi e delle aspirazioni di un intero continente (e le quindici nuove canzoni lo confermano appieno), Angelique è una cittadina del mondo capace di irradiare la solarità contagiosa della sua gente attraverso ritmi ed atmosfere sonore in grado di conquistare anche i mercati più schizzinosi; tanto più oggi, ch’è s’è presa il lusso di ridiscendere in campo attorniata da stelle come Santana, Alicia Keys, e Peter Gabriel; significativo notare che a duettare con lei sul brano finale, abbia scelto Carmen Consoli, guarda caso altra esponente di primo piano delle quote rosa del Bel Paese. CD Novità John Mellencamp Freedom Road (Universal) Il rocker dell’Indiana si conferma una delle voci più intense ed ispirate della provincia statunitense. Il suo roots-rock d’autore, non avrà il carisma di quello springsteeniano, ma ne possiede la medesima forza espressiva, la stessa sincerità d’intenti, e lo stesso sapore ruspante di un’America che non si riconosce né nei proclami dei guerrafondai né nei rassicuranti lustrini di Hollywood. Mariella Nava Dentro una rosa (Nar-Edel) A proposito di quote rosa. Ecco un’artista vera che i mercati s’ostinano a snobbare. Un peccato perché pochi sanno raccontare e raccontarsi con altrettanto rigore, sapienza, e profondità. Ascoltare per credere.