La prima spiaggia, per qualcuno l’ultima
Sbarcano da ogni pertugio che dà sulla spiaggia, qui a Copacabana. Rivoli, torrenti, fiumiciattoli, fiumi, fiumi in piena che rischiano di travolgerti. A gruppi, a serpenti, come cani sciolti, come drappelli militarmente inquadrati, come comuni hippy, come scanzonati giovincelli in vena di bravate o come diligenti elementi di processioni oranti. È il popolo cattolico, che lo si voglia o non, il popolo universale, etimologicamente parlando, e anche praticamente, visto che secondo gli ultimi prospetti, i Paesi rappresentati sono 188, quasi la totalità dei 202 schedati all'Onu.
La nota che unisce tutto e tutti è ovviamente la festa, una festa della fede: non a caso siamo a Copacabana, dove ad ogni Capodanno convengono due-tre milioni di persone per festeggiare l'anno nuovo. Qui stasera i milioni sono due o forse due e mezzo, ma la motivazione non è solo festaiola, non c'è nei cuori solo la prospettiva di un divertimento prolungato, ma qualcosa d'altro. Anzi, Qualcuno.
Papa Bergoglio stamani, alla messa concelebrata con 4 mila vescovi (scusate se è poco!), ha ripreso le sue amate metafore zoologiche, ed ha messo in guardia i pastori dalla tentazione di fare le chiocce, di tenere cioè i propri pulcini ben al caldo, proteggendoli dal mondo. I pulcini vanno sì formati con intelligenza e costanza, ha continuato Francesco, ma per essere mandati in missione, per lanciarli nel mondo a proclamare Gesù Cristo. Oggi qui a Copacabana i pulcini sono tantini, qualche milione, di che rimpinguare le fila esangui di coloro che hanno deciso di farsi missionari. È forse allora il tempo di considerare diversamente i missionari, che innanzitutto, come il papa ha ancora detto ai vescovi, debbono essere persone che aprono al dialogo, alla "cultura dell'incontro", e non alla "cultura dello scarto".
Il "rito" dell'arrivo del papa in papamobile è ormai entrato nell'immaginario collettivo della Gmg brasiliana. Eppure colpisce anche oggi, l'emozione dei presenti è palpabile, al di là delle nazionalità e delle estrazioni sociali, dell'età. Certo, forse il 90 e forse addirittura il 95 per cento dei giovani viene dalla "calda" America Latina, e si sente. Ma l'emozione è anche europea, australiana, coreana…
Chi si aspettava uno spettacolo come quello di ieri, rimane forse deluso, perché attorno ad una semplicissima coreografia che rappresenta la costruzione di una chiesa sulle tracce di San Francesco, è la parola delle testimonianze che viene in luce. Storie brasiliane e universali, che raccontano di evangelizzazione, dolore, attenzione al prossimo, di preghiera e fede.
Il papa ricorda il santo del suo nome che si era messo al servizio della Chiesa. «Il Signore ha bisogno anche di voi… di ognuno». Il vero campo della fede non è un luogo geografico, ma noi stessi. «Siamo noi giovani il campo della fede». Cosa significa essere un discepolo missionario? Il papa per spiegarlo parla del campo: innanzitutto, il campo come luogo dove si semina, dove dobbiamo lasciare lavorare Gesù e far fruttificare la sua parola, «non cristiani di facciata, ma autentici, che puntano in alto»; e poi il campo come luogo dove ci si allena, dove si fa parte di una squadra, «per ottenere una coppa molto più grande della coppa del mondo»; infine, il campo come luogo di costruzione, sudando le proverbiali sette camicie.
Il papa interloquisce con la folla, come un vero pastore, pone domande, invoca il silenzio, fa ripetere delle frasi… E con passione invita ad essere discepoli per costruire un mondo di pace, fraternità, giustizia.
«Non dite che sono gli altri i protagonisti del cambiamento, siete voi! Per favore, non lasciate passar via la vita!».
Con queste parole provocatorie in cuore, e dopo un intenso momento di adorazione eucaristica, i 2 milioni e più di giovani si apprestano a trascorrere la notte sulla sabbia. Sabbia fertile. Su una spiaggia che per tanti è la prima della loro fede, per altri la seconda, la terza, per altri… l'ultima, quella del definitivo impegno come discepoli di Gesù.