La prigionia di Alekos
La prigionia di Alekos
La vita, il carattere libertario, creativo di Alexandros Panagulis e la sua lotta impari contro la dittatura dei colonnelli nella Grecia degli anni Settanta. Il progetto teatrale, che scaturisce dall’idea registica di Giancarlo Cauteruccio, il Prometeo incatenato protagonista di questa piéce, interferisce con la tradizione del luogo scenico e proprio per il tema trattato, frantuma il rapporto tra palcoscenico e platea. Ogni regime, ogni sopruso, ogni violenza, è come se facesse crollare la realtà preesistente per produrre soltanto macerie;su queste macerie, come in una moderna tragedia greca, Cauteruccio fa a agire i personaggi. Non più la terribile cella carceraria – costruita apposta,chiamata “la tomba” per le sue anguste dimensioni e a metà interrata – del giovane Alexandros Panagulis , ma un luogo non meglio identificabile dove la dimensione fisica sconfina in paesaggio dell’immaginazione. La stessa immaginazione, la stessa poesia, che Alekos utilizzò per sopravvivere alle torture subite da parte di tre militari ,i suoi aguzzini.
“Prigionia di Alekos” di Sergio Casesi, con Fulvio Cauteruccio, Roberto Visconti, Francesco Argirò, Domenico Cucinotta, Carlo Sciaccaluga; musiche Ivan Fedele, scene Andre Benaim, immagini e costumi Massimo Bevilacqua,alla fisarmonica Francesco Gesualdi. Una produzione Fondazione Teatro della Toscana. A Firenze, Teatro Niccolini, fino al 18/2.
L’Elena di Elisabetta Pozzi
Per lei, una delle più belle donne dell’antichità, si scatenò a Troia una sanguinosa guerra durata dieci anni. È un’altra Elena quella del monologo lirico che il poeta Ritzos compose nel 1970. La versione del mito che egli ci offre è un vero e proprio ribaltamento dell’immagine di Elena che la tradizione letteraria ci ha donato. Quella presentata da Elisabetta Pozzi fa a meno della bellezza effimera, quella è andata via molti anni addietro, la sua bellezza adesso e ben altra, quella dell’esperienza. “Ho immaginato un Elena capace di vivere nella tragedia e nel dramma con il sorriso di una diva divenuta una cantante da night – scrive il regista -. Così Elena da diva dei grandi palcoscenici si ritira in uno squallido night perpetuando la sua gloria in eterno, rifugiandosi nel passato, rileggendo l’Iliade come fosse un rotocalco sulla sua vita e i suoi amori, perché così l’ha restituita anche Ritsos rappresentandola vecchia e circondata di ricordi nel suo letto”.
“Elena” di Ghiannis Ritsos, regia Andrea Chiodi, con Elisabetta Pozzi musiche Daniele D’Angelo, costumi Ilaria Ariemme, disegno luci Marco Grisa. A Roma, OffOff Theatre, dal 20/2 al 4/3.
Nel bar di Harold Pinter
Quattro storie che condividono un’atmosfera umana molto particolare, quella dei ‘barflies’, e hanno in comune un ‘luogo’, un bar notturno di basso rango. Quattro momenti, dispersi nel tempo, della vita di questo luogo, sempre lo stesso, visto in quattro modi e in quattro tempi diversi. I testi sono Il calapranzi, Tess, L’ultimo ad andarsene e Night. Nella successione di queste storie si annida una malinconia di fondo, che forse nasce dalla sensazione che ciò che appare come ‘tempo presente’ sia già memoria. Night bar, oltre alle storie dei suoi personaggi, è anche la storia di un locale che nel tempo cambia gestione, colore dei muri, clienti, pur rimanendo misteriosamente sempre uguale, in tutto simile all’andare e venire degli uomini sotto il cielo. E forse la storia dei luoghi dove l’umanità ha vissuto, ci aiuta a percepire pietosamente (ovvero con un sorriso affettuoso) il via vai delle nostre vite.
“Night bar” di Harold Pinter, traduzione Alessandro Serra, regia Valerio Binasco, con Nicola Pannelli, Sergio Romano, Arianna Scommegna, scene Lorenzo Banci, costumi Sandra Cardini, musiche Arturo Annecchino, luci Roberto Innocenti. A Prato, teatro Metastasio, dal 13 al 18/2.
A Ferrara dittico di Angelin Preljocaj
Il coreografo francese Angelin Preljocaj porta in scena il riallestimento di Un trait d’union, pièce per due danzatori creata nel 1989, e Still Life, nuova creazione per sei danzatori, in prima nazionale. Dal carattere intimista e pudico, sia nella costruzione coreografica che nell’espressività richiesta agli interpreti, Un trait d’union si snoda sul Concerto per pianoforte n. 5 di Bach e vuole raccontare «la ricerca instancabile di due esseri umani che cercano nell’incoscienza dell’altro qualcosa che possa metterli in relazione, per annientare la loro solitudine e renderli reali l’uno agli occhi dell’altro». Still Life – “natura morta” in inglese – conduce lo spettatore in una dimensione allargata e universale. Nella coreografia entrano in gioco la finitudine dell’esperienza umana, il trionfo della morte. La danza, molto tecnica, con continui cambi di ritmo fra momenti lenti ed ipnotici e sequenze d’assieme, è un tutt’uno con la partitura sonora, scritta da Alva Noto e Ryuichi Sakamoto. Il linguaggio coreografico contemporaneo si fonde a perfezione con le sonorità elettroniche e i violini dei due compositori.
Ballet Preljocaj. A Ferrara, Teatro Comunale, il 15/2.
Rossini e il Spellbound Contemporary Ballet
Un omaggio alla figura artistica e umana di Gioachino Rossini, realizzato da Mauro Astolfi e il suo Spellbound Contemporary Ballet. Una danza carica di energia e vitalità, che traduce in movimento la genialità del compositore pesarese sulle note delle sue celebri ouvertures. ”La musica di Rossini – spiega il coreografo – è una vera e propria ‘follia organizzata’: intensità, caos puro, smarrimento, fuga schizoide”. La coreografia percorre la strada di un sogno fatto di tanti momenti, di tante situazioni diverse, di personaggi che tutti insieme raccontano di uomini soli, divertiti, tristi e coraggiosi. In scena, una grande parete, piena di sportelli e nascondigli: è la parete dei ricordi di Rossini, “dove nascondeva, dove archiviava il suo cibo, i vini”. E’ la casa delle lunghe notti insonni, ma anche ”dove ospitava amici, compositori e la gente comune con la quale amava scherzare, giocare e condividere tutti gli aspetti della sua vita”.
“Rossini overture”, a Pisa, Teatro Verdi, il 16/2.
Le Braci – Le candele bruciano fino in fondo
Il passaggio d’epoca segnato dalla Prima Guerra Mondiale è il luogo temporale in cui l’ungherese Sándor Márai colloca il nucleo retrospettivo del romanzo Le Braci – Le candele bruciano fino in fondo, il titolo originale pubblicato nel 1942 -, un testo legato con filo rosso alla grande tradizione romanzesca, che assieme guarda alla crisi dei grandi miti della società occidentale e al transito in un “nuovo mondo”, rovente e mefitico inferno tropicale da cui fa ritorno il personaggio Konrad dopo una disonorevole fuga durata quarant’anni. Fredda e assillante invece l’attesa per il generale Henrik, che aspetta il giorno della rivalsa immerso in un tempo sospeso fino ad un mattino del 1940, quando riceve l’improvviso l’annuncio della sua visita. A mettere in scena il testo dello scrittore ungherese è Laura Angiulli con interpreti Renato Carpentieri e Stefano Jotti.
“Le braci”, dall’opera di Sándor Márai, adattamento Fulvio Calise, drammaturgia e regia Laura Angiulli, con Renato Carpentieri e Stefano Jotti, scene Rosario Squillace, disegno luci Cesare Accetta. A napoli, Galleria Toledo, dal 16 al 25/2. Il Teatro coop. produzioni /Galleria Toledo