La pressione dei social
Alberto Rossetti è uno psicoterapeuta, che negli ultimi anni ha lavorato con i giovani in progetti di prevenzione, cura e sostegno. Con Città Nuova ha appena pubblicato I giovani non sono una minaccia.
Come mai questa passione?
Fin da ragazzo ho pensato che da grande mi sarei occupato di giovani. Anche l’esperienza scout mi ha indicato la strada. Nel contempo, ero stanco di leggere libri teorici, e critici, sui ragazzi. Ho pensato invece di ascoltare la loro voce, i loro racconti, senza un impianto teorico già definito. Il libro è nato dalle chiacchierate con loro, dalla domanda: «Raccontami la tua adolescenza».
Una parola chiave del libro è “corpo”…
Il corpo è sempre stato al centro dell’adolescenza, solo che oggi sui social i ragazzi sono ossessionati dall’immagine. Fanno fatica ad accettare la propria specificità, cercano di aderire a un modello esterno. Una ragazza mi spiegava il modello Instagram del corpo: fondoschiena in evidenza, corpo palestrato, gambe belle. Se non sei così, sei fuori. Allora i ragazzi usano trucchetti, per esempio foto ritoccate o mettere in luce certi particolari. Ma c’è un rischio elevato di infelicità. È la “prepotenza dei social”: ogni ragazzo è sbattuto 24 ore su 24 sul palcoscenico. Non può scappare.
Con i social i ragazzi pensano di avere sotto controllo la propria identità?
Manipolare la propria immagine e muoverla sul palcoscenico dei social illude il ragazzo, così come l’adulto. Ma è impossibile racchiudere la propria identità in un’immagine. Per molti ragazzi è terrificante stare sempre sotto lo stress del giudizio degli altri… ma non possono fare a meno dei social. Altri invece si tirano fuori. Ne ho trovati parecchi che non vogliono più sottostare al giudizio della Rete.
Più “follower” ho, più sono fico?
I ragazzi fragili cercano di più il consenso e sono più esposti alla critica. La ricerca del consenso può portare a esporsi molto sui social, sia da parte femminile che maschile. Se pubblico un libro, ho pochi like; se invece pubblico il mio corpo con foto maliziose, giocando un po’, ho più like, più visualizzazioni delle storie. E mi sento vivo.
Cosa consiglia ai ragazzi?
Accettare la propria differenza, la propria imperfezione. I social sono belli, ma non devono portare a un’omologazione. Non devono limitare i rapporti tra amici in carne e ossa. Purtroppo gli adulti hanno creato intorno ai ragazzi, soprattutto i più piccoli, una cappa protettiva, dove non c’è incontro, né scontro, né relazione. Ci sono la scuola, le attività, la casa, ma meno spazi dove fare libere esperienze di socialità. E allora i giovani se ne stanno chiusi nelle loro stanze e cercano relazioni in Rete.
L’eccesso di protezione dei figli si scarica anche a scuola…
È l’esempio perfetto: i genitori dovrebbero stare fuori dalla scuola e venire solo per ascoltare i professori. Invece sono sempre sui banchi accanto ai figli. Col registro elettronico, vengono a sapere il voto addirittura per primi, per cui il ragazzo non può nemmeno elaborare il 4 che ha preso… Una cosa assurda. Un luogo di ricreazione e di crescita dei giovani è diventato il luogo dei genitori e degli adulti, un luogo pesantissimo.
Come stare accanto ai ragazzi?
Testimoniando gli aspetti positivi della vita, raccontando il proprio vissuto, anche gli errori fatti. Un ragazzo che attraversa un momento difficile può essere aiutato dal genitore che gli spiega che anche lui li ha passati. La società si vanta di ascoltare, ma non è vero: ascoltare significa accettare le imperfezioni del ragazzo, senza suggerire subito la risposta. Accettare che vada nella direzione opposta a quella che pensiamo noi. Prevenzione significa educare al bello: abituarsi a cercare le cose belle, anche se costano di più.
Come vivono il sesso gli adolescenti?
Tanti ragazzi parlano dell’esperienza sessuale come di una partita di calcio, di una prestazione. La sessualità viene vissuta come puro atto fisico, che rischia di non dare nemmeno piacere. È necessario invece recuperare anche qui il bello. Amore significa innamorarsi di un’altra persona, non del suo corpo e basta. Le esperienze fatte in adolescenza ce le portiamo dietro tutta la vita.
C’è ancora l’opzione Dio?
Non è vero che i ragazzi non credono in niente. La felicità di un adolescente è poter dire: «Io credo nell’amore», che significa avvicinarsi a Dio. Un ragazzo mi ha spiegato l’importanza di essere aiutato a porsi le domande giuste, invece che ricevere solo risposte, perché magari la risposta non gli piace e allora il dialogo finisce lì. Invece devo aiutarlo a porsi le domande.