La pratica è archiviata

Una famiglia sfrattata per morosità. L’aiuto di un avvocato per risolvere il problema-casa.
Ricevo mandato dell’Istituto autonomo case popolari di dare esecuzione a uno sfratto per morosità in un quartiere periferico della città, noto per l’alto tasso di criminalità. L’impresa è ardua considerate le minacce e intimidazioni provenienti dagli inquilini interessati. A ridosso della data fissata per il rilascio, timoroso per quello che può accadere, decido di riferire al’ufficiale giudiziario di non poterlo accompagnare nelle operazioni di rilascio; ma è lui che mi anticipa comunicandomi la sua paura a recarsi sul posto con la propria autovettura.  A quel punto non posso non andare insieme a lui, prendendo la mia auto. Suonato il campanello della porta dell’appartamento interessato, compare una signora di mezza età che ci fa accomodare in casa. Ad attenderci all’ingresso anche le sue 5 figlie, delle quali, le ultime due, in tenerissima età. La signora, ben sapendo il motivo della nostra visita, si scusa per non aver potuto liberare l’appartamento in quanto il marito, la sera prima, era stato ricoverato in ospedale. Ci chiede un po’ di tempo per farlo. L’ufficiale giudiziario inizia ad innervosirsi. Mentre la donna con le sue figlie maggiori svuota l’appartamento, sento che non posso star lì a guardare. Mi viene in mente la frase del Vangelo: «Qualunque cosa avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatta a me». Depongo giacca e cravatta e invito l’ufficiale giudiziario a fare altrettanto; questi, dopo un iniziale momento di stupore e incredulità, acconsente. Mentre la donna, su mia richiesta, bada alle figlie più piccole, io e l'ufficiale giudiziario, aiutati dalle altre ragazze, portiamo fuori tutti i mobili e gli altri oggetti presenti nell’appartamento. Una volta completato il trasloco, un operaio mura con il cemento la porta d’ingresso onde evitare occupazioni abusive dell’alloggio. La soddisfazione per il buon esito del rilascio è, però, subito appannata dal dolore sulle sorti di quella famiglia. «Avete un posto dove andare ad abitare?», chiedo alla donna nel salutarla. La risposta affermativa mi tranquillizza e sento che posso andar via.  Arriva la mattina seguente. La famiglia sfrattata si presenta in ufficio. Hanno dormito in stazione e non sanno dove andare. Se potessi ospitarle a casa mia, lo farei, ma non ho letti a sufficienza. Quando ogni strada mi sembra impraticabile, mi nasce forte dentro una convinzione: «Per questa famiglia c’è sicuramente una casa pronta e disponibile, ed è quella liberata il giorno prima». Faccio loro presente gli eventuali rischi che tale soluzione può comportare. L’indomani, su alcuni giornali locali, compare questo titolo:«Famiglia sfrattata dal quartiere S. Paolo si rimpossessa dell’appartamento abbattendo il muro di protezione della porta d’ingresso». Gli autori degli articoli, lungi dal mettere in risalto e condannare l’illecito comportamento della povera famiglia, mirano soprattutto a sensibilizzare gli amministratori locali nel porre maggiore attenzione al problema "casa". Lo stesso Istituto autonomo case popolari rinuncia a buona parte del credito vantato verso la famiglia morosa, concordando con la stessa, per i canoni futuri, tempi di pagamento più elastici. Ora sì che la pratica può essere definitivamente archiviata.
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