La Posta di Città Nuova
Incontriamoci a Città Nuova, la nostra città
Una squadra, una famiglia
I collaboratori della rivista a confronto. Per fare “il punto” e guardare avanti.
Non potevano mancare proprio loro. Nella splendida cornice dei colli toscani, a LoppianoLab. Provenienti dai vari punti dello Stivale, in rappresentanza delle originali sensibilità che ogni regione racchiude, per portare, anche a nome dei lettori, un contributo alla nostra rivista. Per condividere idee, considerazioni, proposte di articoli, segnalazioni di esperienze.
Li conoscete, sono quelli che mettono la loro penna a disposizione della fraternità. Li trovate in elenco a pagina 10, sotto il sommario, ma altri ancora si stanno unendo alla squadra. Talvolta non sono giornalisti di professione, ma hanno la passione della scrittura. O, meglio ancora, sanno osservare la realtà con la lente dell’unità.
I temi emersi? L’attuale situazione del gruppo editoriale, l’evoluzione del mercato, l’aumentata sinergia dei vari settori di Città Nuova. Ma anche il funzionamento del sito grazie al quale siamo diventati un quotidiano dove ogni giorno si trovano commenti all’attualità e tante buone notizie, dall’Italia e dal mondo. Quindi la collaborazione si fa più stretta e molto più immediato il dialogo con i lettori. Una rete di reti che si fa sempre più estesa e di cui si intravede l’enorme potenzialità.
E poi confronto a tutto tondo in piccoli gruppi per andare in profondità sugli argomenti da trattare nelle sezioni della rivista: arte, attualità, pagine verdi, cultura, rubriche di dialogo con i lettori, famiglia. Con lo sguardo e il cuore aperti gli uni alle proposte dell’altro.
«I mezzi di comunicazione si sovrappongono ma non si distruggono a vicenda. Dieci anni fa si profetizzava che il web avrebbe distrutto la carta. Non è stato così. I lettori ci hanno dimostrato di gradire sia rivista cartacea che web. Adesso cominciamo a pensare ad ulteriori sviluppi nei tempi e nei modi possibili: web tv, web radio, agenzia… Anche Chiara Lubich ce ne aveva parlato – incalza Michele Zanzucchi –. Le frontiere della comunicazione sono aperte davanti a noi. Per lei l’attività di Città Nuova doveva mirare a raggiungere tutti. Un passo alla volta ma con gli occhi che guardano lontano».
Amicizia e clientelismo
«Ho riletto l’articolo “Il paese degli amici” dopo un certo tempo, per smaltire alcune perplessità sullo stesso. Dalla nuova lettura le perplessità sono state rinforzate. L’articolo nell’incipit sembra portare il lettore in un Paese dove i rapporti di vicinanza sono cordiali e la comunità è partecipe della vita di tutti: ci si incontra, ci si saluta, si condividono gioie e sofferenze; si è amici e compaesani. Dopo poche righe si comprende che si sta parlando di “amicizia” tra virgolette. Amicizia che è sinonimo di clientelismo, favoritismi e illegalità. È assolutamente deplorevole questo secondo significato del termine amicizia e, forse, non andrebbe usato per indicare rapporti così vicini all’illegalità.
«Rivalutiamo il senso dell’amicizia, della condivisione, del sentirsi comunità. Ciò comporta condividere le preoccupazioni altrui, come le gioie, e forse cercare casa, lavoro, un posto per riposare, fare proprie le necessità altrui, così come avveniva e forse ancora avviene nelle comunità dei Focolari. Chiara Lubich stessa si rivolse all’onorevole Giordani per cercar casa e fu l’inizio di un connubio proficuo per lo sviluppo del movimento. Forse nel tragitto verso l’ultima fermata Elena Granata, autrice dell’articolo, si sarebbe resa conto dell’uso improprio del termine amicizia».
Matteo Rinaldi – Foggia
Risponde Elena Granata: «Osservazioni condivisibili. L’articolo intendeva esattamente mettere in evidenza l’uso improprio (e ambiguo) di alcune relazioni di potere e convenienza che vengono oggi confuse con l’amicizia. L’avvio “da favola” e gentilmente ironico aveva lo scopo di suscitare nel lettore l’idea che tutto questo è molto lontano dall’amicizia, quella vera».
Dove sono gli intellettuali cattolici?
«All’osservazione di De Rita, secondo cui “il popolo cattolico non riesce ad esprimersi nella dialettica socio-politica, perché mancano al popolo cattolico i livelli intermedi prima di condensazione della propria forza poi di finalizzazione allo sviluppo collettivo del Paese”, risponde Dario Antiseri (Corriere della Sera del 12 settembre scorso), osservando che “i cattolici del livello e del prestigio di De Rita – e ne fa l’elenco – stanno da tempo lì, alla finestra a guardare, rintanati dalla prospettiva della politica nazionale”.
«Le due osservazioni sostanzialmente coincidono. I cattolici di livello, che pur ci sono, “mancano di condensazione della propria forza e di finalizzazione allo sviluppo collettivo del Paese”. Ma ciò è dovuto al fatto che mancano sostanzialmente di una capacità unitaria. Non sanno unirsi; non mettono a disposizione le loro individualità per creare un’unità che li supera e li riassume. Ciò, lo sappiamo, può farlo solo la forza della carità, quella che crea un corpo, il corpo (come è la Chiesa). Che alla radice delle predette mancanze ci sia una mancanza di cristianesimo vissuto?».
Gianni Caso
Condivido le osservazioni di Caso. Penso che «le forze intellettuali cattoliche» – ma preferirei evitare troppi steccati e quindi direi: «le forze intellettuali amanti della verità e operanti per il bene comune» – debbano “fare rete”, ma non solo perché l’unione fa la forza, quanto perché è lo stesso pensare che ha bisogno del contributo di tutti coloro che amano il nostro Paese per lasciare il livello della proposta intelligente e acuta e diventare pista percorribile di azione per tutti i cittadini ben disposti al bene comune.
Parole come pietre
«Sono convinto che nonostante oggi volino al vento come piume e l’una contraddica l’altra con una facilità estrema, le parole sono e resteranno “pietre”. Ecco perché mi ha colpito nel profondo la dichiarazione, scivolata via tra le altre mille, del ministro Maroni a proposito dell’incidente nel Mar di Sicilia con la motovedetta libica: hanno sparato perché forse “pensavano fossero clandestini”. Scusi ministro, ma ai clandestini si spara? Non voglio aggiungere altro».
Attilio Menos
«È notizia recente che una motovedetta degli “amici” libici (donata da noi alla Libia, con a bordo sei militari italiani!) ha sparato contro un peschereccio italiano. Non è morto nessuno, il nostro ministro dell’Interno ha detto che si è trattato di un errore, che il peschereccio è stato scambiato per una barca di clandestini, che la Libia ha presentato formali scuse, che ci sarà un’indagine: il caso è chiuso.
«Per completezza d’informazione, bisogna aggiungere che la versione fornita dal Comandante del peschereccio demolisce l’ipotesi dell’errore: i libici hanno sparato volutamente su un’imbarcazione che non poteva essere equivocata, ad altezza d’uomo, per uccidere.
«Al di là di come siano andate realmente le cose, sorge tuttavia un interrogativo, a mio avviso non da poco: è questo il modo concordato dal nostro governo con la Libia per contrastare l’immigrazione clandestina? Sparando sulle imbarcazioni, per uccidere i passeggeri? Meglio sempre essere prudenti e andare sul sicuro: i morti non raccontano».
Gian Maria Bidone – Grottaferrata
Gratitudine
«Sta per finire l’estate. Tutto riprende alla solita normalità. Anche le comunità dedite alla vita spirituale riprendono il loro percorso. Loppiano con i focolarini, le comunità di S. Ellero, Montereggi e Santi Arcangeli per i carismatici.
«Un vero grazie a Loppiano se ora possiamo avere queste meravigliose comunità. Infatti fu per l’azione dello Spirito che Chiara Lubich, le sue compagne e Igino Giordani impegnarono tutta la loro esistenza a lavorare ininterrottamente nella “vigna del Signore”. Successivamente fu ancora l’azione della Provvidenza a convincere alcuni fedeli a riflettere su quanto poteva essere cosa stupenda e meravigliosa intrattenersi alla presenza dello Spirito in un clima di vita e di luce. Fu così che ebbe inizio il Rinnovamento carismatico o nello Spirito.
«Pertanto un ulteriore riconoscimento a Chiara per aver donato a noi del Casentino così prossima la realtà di Loppiano: preparando, anche se indirettamente, il terreno favorevole per il sorgere delle altre comunità».
Gino Biancanelli
Ancora sulle tariffe postali
«Con il decreto interministeriale del 1° aprile di quest’anno è in gioco la vera libertà di stampa. C’è un modo semplice e devastante per mettere il bavaglio, vero e letale, alla stampa libera in Italia. Un sistema che non sta suscitando dibattiti nel Parlamento e nelle piazze, né può essere contrastato in nessuna maniera. Arriva dritto alle radici e… zac, taglia l’albero fino a renderlo pericolante e farlo cadere morto. Non è una ipotesi, è una realtà dalla data suddetta del decreto, che ha deciso di sopprimere le tariffe postali agevolate per l’editoria, facendo male ad un settore già in seria difficoltà e ipotecando il futuro di quasi 200 testate locali e nazionali, che sono voce indipendente e a volte scomoda al potere.
«Marco Polillo, presidente della Associazione italiana editori aderente a Confindustria, ha affermato: “Siamo profondamente indignati per un provvedimento improvviso, non annunciato, che per la sua applicazione immediata coinvolge tutte le pianificazioni commerciali del mondo dell’editoria libraria”. Ma quanto potranno ancora reggere testate che hanno resistito a guerre e repressioni, sfidato il fascismo e aspre ostilità politiche? Testate che ora combattono il relativismo, che insidia le radici stesse della nostra società?».
Giancarlo Maffezzoli – Garda
Caro Maffezzoli, purtroppo nulla è ancora risolto. Sono ancora in corso delle trattative con Poste Italiane, ma senza grandi prospettive. Forse un qualche beneficio potrà venire da una reale concorrenza di altre imprese di spedizione, ma nulla è ancora deciso. Noi continuiamo a sperare che qualcosa si muoverà, ma siamo anche pronti a lavorare con quello che abbiamo, senza contributi esterni.
L’oblio
«Mio marito è appena tornato dal Pakistan, dove era stato inviato dalla sua azienda per una questione tecnica. Ha visto lo stato di assoluta precarietà nel quale versano milioni di persone. Terribile. Ma da noi nessuno ne parla più».
P.G. – Genova
Sappiamo che il sistema mediatico, in cooperazione fattiva con quello politico ed economico, ha una capacità straordinaria di attirare l’attenzione sulle emergenze naturali, ma anche un’altrettanto cinica capacità di distogliere lo sguardo da quanto dissuade gli inserzionisti dal pagare le loro pubblicità o da quanto non ha più interesse per i “grandi” di questo mondo. Si è parlato in questi giorni molto, giustamente, della morte del nostro 30° militare in Afghanistan, ma nulla o quasi dei 16 milioni di senzatetto provocati dalle inondazioni nel Pakistan. C’è qualcosa che non va in questo sistema. Intanto continuiamo a fare la nostra parte, se possiamo fare qualcosa.