La posta di Città nuova
Etichette sulla copertina
Abbiamo ricevuto numerose lettere che denunciavano un problema relativo all’etichettatura della rivista.
«Proprio perché Città nuova vorremmo fosse emblematica della nostra città in tutti i suoi aspetti, ci ha sorpreso negativamente lo scempio che ha prodotto sulla copertina la colla profusa fuori misura per fissare la targhetta con l’indirizzo nel nuovo formato disposto dalle poste. Qualcosa insomma che, per restare nella metafora sulla città, ci ha fatto pensare alle recenti polemiche innescate dalle difficoltà connesse allo smaltimento dei rifiuti. Ovvio l’auspicio che il problema venga risolto davvero tempestivamente».
G.G. – Bologna
«Carissimi, avendo anche questa volta purtroppo strappato la prima pagina di Città nuova appena giunta nel tentativo di staccare l’etichetta con l’indirizzo, che da qualche tempo è diventata adesiva, mi decido a chiedervi di far cambiare il tipo di etichetta e tornare a quella di prima o comunque a una non adesiva, essendo comunque il giornale sotto plastica. Non è bello per chi Città nuova lo conserva, ma neppure per chi solo lo legge, avere la prima pagina rovinata dal tentativo di togliere l’etichetta».
A.F. – Genova
Le nuove normative postali impongono un’etichetta con particolari caratteristiche, tra cui quella di essere incollata sulla copertina in modo che non si sposti impedendo la lettura dell’indirizzo e la consegna della rivista nei tempi concordati.
Per un inconveniente tecnico alcune etichette hanno ricevuto troppa colla causando delle lacerazioni alla copertina. Ce ne scusiamo vivamente con i lettori. Già dal numero 5 si è provveduto a usare una colla più facilmente removibile. Ringraziamo per la tempestività con cui diversi lettori ci hanno comunicato il problema che ci ha consentito di intervenire, speriamo definitivamente.
Cocaina: c’è corresponsabilità
«Sono una adolescente e dopo aver letto l’articolo sulla cocaina mi sono sentita incolpata di una cosa che non faccio. Penso che non è che un giovane di punto in bianco si trova quella roba sotto il cuscino. Io so che i giovani la comprano da spacciatori adulti che la vendono dappertutto.
«Ma come mai i giovani vanno a comprarsela? Mi sono risposta così: ormai le nostre scelte sono condizionate molto dalla televisione, da modelli di ragazze o ragazzi sempre belli, da internet, dai mass media. Io penso che non siamo noi il problema ma gli adulti che devono pensare ad un mondo più pulito.
«Finisco incitando tutti i giovani che ora stanno leggendo questa lettera, a non buttare via la loro vita perché ne abbiamo una sola ed è preziosa; e ogni attimo bisogna viverlo al meglio». Giada Battaglin – Marostica (Vi)
Carissima Giada, ci dispiace che tu ti sia sentita incolpata di una cosa che, come tu dici, non fai. Evidentemente anche quel 3,2 per cento di giovani che consumano cocaina, di cui si parla nell’articolo, non ti ha lasciato indifferente.
Tu dici che il problema sono gli adulti. Come avrai potuto notare, in diversi passaggi dell’articolo si mettono in evidenza le responsabilità a monte di genitori assenti, come di una scuola spesso impreparata. Quell’articolo è nato non da dati statistici, ma da un profondo dolore per la conoscenza reale di adolescenti che si trovano a buttare via la loro vita.
Grazie dunque per l’invito finale che rilanciamo volentieri. Con l’augurio anche che problemi così gravi vedano la collaborazione tra generazioni oltre che tra i diversi attori coinvolti. Senza puntare il dito contro nessuno, ma puntando insieme allo stesso obiettivo.
Per pochi furbi pagano gli onesti
«Sono cresciuta credendo nelle persone e vedendo lavoratori seri ed onesti costruire, giorno dopo giorno, con la loro vita, il Paese in cui vivo. Non che siano mancati esempi nega-tivi, ma mai mi sarei sognata di vedere additate intere categorie di cittadini come criminali. Ora è il turno dei dipendenti statali.
«Ho insegnato per più di dieci anni nella scuola media e mai ai miei alun-ni ho insegnato a rispettare alcune ca-tegorie e a disprezzarne altre; esatta-mente il contrario. Il bisogno di co-struire la nostra nazione, soprattutto attraverso l’amore al singolo, senten-dola come la propria casa, è stato l’o-biettivo principale e rimane tale anche nel mio impegno parrocchiale.
«L’amarezza aumenta se le stesse persone che, in alto, insegnano la di-sistima e la sfiducia si rendono poi ar-tefici di quel medesimo reato di cui hanno accusato intere categorie di ita-liani. Nell’ufficio di mio marito non sono stati penalizzati i più furbi, ma tutti, compresi quelli che il lavoro lo svolgono con coscienza retta. Del danno morale chi pagherà mai un lavoratore onesto?».
Lina – Legnano (Mi)
Gentile signora Lina, la sua lettera è molto bella ed esprime con sincerità il disagio di chi ha svolto sempre il proprio lavoro con onestà. Purtroppo però, non sono stati pochi i dipendenti statali che hanno profittato in passato di una situazione di privilegio e di sostanziale impunità per fare i propri comodi, regalando così alla categoria quella cattiva fama che conosciamo. Oggi non si può più generalizzare, perché il privilegio e l’arbitrio si annidano a tutti i livelli, come dimostra lo scandalo dell’assenteismo dei nostri parlamentari a Strasburgo. Neppure però basta più lavorare soltanto: occorre anche avere il coraggio di denunciare chi il proprio dovere non lo fa. La sua amarezza però, mi creda, è anche la nostra.
A proposito di Pio XII e dei nazisti
«Scrivo a proposito dell’articolo su Pio XII apparso su Città nuova n. 23/2008. In quel tempo ero fra i tanti militari italiani internati in Germania (Imi). Mi portarono nel campo di concentramento di Stargard (Polonia) da dove venni trasferito a Piritz in un comando di lavoro. Si trattava dei più svariati lavori di facchinaggio sotto la sorveglianza di un tedesco. Si faceva qualche pausa, ma non avevamo niente, mentre loro affettavano il pane con un coltello a serramanico con una lama lunga e un po’ curva dicendoci: “Tu Badoglio (traditore) Roma, Paps”, facendo segno, con quel coltello di tagliarci la gola. Segno che il papa veniva considerato un nemico. La qualcosa dimostra che Pio XII aveva fatto la sua parte per difendere gli ebrei, attirandosi un odio accanito da parte dei nazisti».
Riccardo Nenz – Montebello
Antiochia al tempo di san Paolo
«Sono un vostro abbonato al quale gli amici hanno dato il soprannome di “Capitan Precisini”. Dopo questa doverosa premessa, vengo al fatto. Leggendo l’articolo interessantissimo di Fabio Ciardi – “Si parte da Antiochia” – ho notato che c’è una pic-cola imprecisione; infatti, l’articolo recita: “Antiochia di Siria non è più in Siria dal 1924, anno in cui la Francia cedette la città ed il suo territorio alla Turchia…”. L’imprecisione riguarda l’anno 1924 e spiego il perché. Con lo smembramento dell’Impero ottomano, conseguente la perdita del conflitto del 1914/18, il sangiaccato di Alessandretta, nel 1920, entrò a far parte del mandato francese della Siria. Nel settembre del 1938, dato che il territorio era abitato al 90 per cento da etnia turca, i francesi concessero l’autonomia dalla Siria e prese il nome di Hatay con capitale Antiochia (Antakya in turco). Poi nel luglio del 1939 fu annesso alla Turchia divenendone provincia».
Capt. Stelio Masci
Grazie della sua precisazione così dettagliata e interessante. Ritengo tuttavia che Antiochia venga individuata come Antiochia di Siria perché così veniva definita al tempo di san Paolo per distinguerla da Antiochia di Pisidia dove pure Paolo avrebbe fatto tappa.
Mi avete aperto gli occhi
«L’articolo di Città nuova dal titolo “Feto malformato, che fare?” mi ha profondamente commossa ed emozionata allo stesso tempo. Lavoro in un reparto di ostetricia e ginecologia dove questo argomento, ahimè, è all’ordine del giorno. Voglio essere sincera. Sino ad ora avere un’opinione, un’idea o forse un giudizio su queste situazioni è sempre stato per me molto difficile. Ogni persona ha la propria storia e ogni scelta anche. Ma questo pezzo di Giulio Meazzini mi ha aperto gli occhi! Tocca le corde più profonde, quelle dell’anima, almeno la mia. Mi ha fatto capire che è quello che penso io e che vorrei per tutte le donne che devono affrontare questo immenso dolore, questa drammatica scelta, che è una scelta di vita. Si tratta della loro vita e di quella di un tesserino innocente che chiede solo (naturalmente) di poter venire alla luce (disabilità o meno)».
Caterina M.