La posta del direttore
C’è sciopero e sciopero In genere si è tutti d’accordo sul discutere poco, decidere in tempi brevi e prontamente operare per produrre beni e/o servizi. Mai però è stato evidenziato il danno economico e di immagine che producono gli scioperi, a volte anche non suffragati da valide motivazioni. Per l’Alitalia e la Fiat, che producono in perdita, sono davvero utili gli scioperi per aumentare la produttività delle aziende e poter chiudere i bilanci almeno in pareggio? È giusto che in una azienda che produce servizi, per lo sciopero di una categoria del personale, magari specializzato, ma numericamente esigua, venga sospeso il servizio con notevole disagio per altri lavoratori e riduzione della produttività? Perché – per esempio – non costituire una Authority alla quale i sindacati possono ricorrere per la soluzione delle vertenze e, qualora 1’Authority ritenga giuste le loro richieste, possa sancire una penalità economica a carico dell’azienda o dare all’azienda un termine per la soluzione della vertenza?. Paolo Astarita Lo sciopero era, ed è ancora in certi paesi, un reato. La Costituzione italiana lo riconosce come un diritto da esercitare nell’ambito delle leggi che lo regolano. Di fatto esiste dal 1990 la regolamentazione nel settore dei servizi pubblici essenziali e per il resto si definiscono codici di autoregolamentazione e l’intervento della magistratura per i comportamenti scorretti. Il più delle volte le motivazioni dello sciopero non arrivano a conoscenza degli utenti e magari, come nel caso dei trasporti, possono essere invece dirette proprio a tutela della sicurezza dei viaggiatori. Lo sciopero è anche una rinuncia di salario per il lavoratore e può esporlo a ritorsioni. Nel caso della Fiat anche i lavoratori più integrati, come quelli di Melfi, sono scesi in sciopero contro una regolamentazione dell’orario di lavoro considerata lesiva dei tempi di vita umani. Non possiamo negare tuttavia che, talvolta, tale diritto sia stato utilizzato per motivazioni corporative e magari di nicchia con coperture e connivenze non accettabili. Le due facce della medaglia agricoltura Sul n.13 ho letto con interesse Impariamo dall’agricoltura di Paolo Lòriga, rilevando con disappunto un approccio all’argomento che non condivido. Infatti, mentre l’Italia viene trainata dal +10,8 del Pil agricolo, diminuisce intollerabilmente, nel 2004, il reddito degli agricoltori del 6 per cento. Già negli anni precedenti si era ridotto del 30 per cento… ed oltre. A chi va il profitto di un Pil agricolo così alto? A tutti, agricoltori esclusi. Il profitto entra nelle tasche di quanti, troppi, dopo aver comprato il prodotto per pochi centesimi, lo rivendono a prezzi proibitivi al consumatore finale. A nulla è valsa campagna amica, effimera ed estemporanea passerella di bandierine gialle volta ad incrementare, con un po’ di fumo negli occhi (operazione immagine) le adesioni ad un organismo che, come gli altri, non rappresenta più gli agricoltori, ma solamente il volto delle filiere e delle maglie burocratiche, senza le quali nessuno aderirebbe a siffatti sindacati. Ma questa è altra storia, tanto triste quanto complessa! Le iniziative di quanti tra gli agricoltori cerchiamo di vendere i prodotti della terra ai consumatori, costruendo rapporti diretti e di fiducia – l’unica tracciabilità possibile – sono solo degli agricoltori… e a spese degli agri- coltori, liberi da bardature e da apparati foraggiati a dovere dai governi del momento (in ansiosa attesa di ritorni elettorali). Come si vede, la situazione nelle campagne non è rose e fiori. Non è, quindi, indicabile ad altri settori come modello da seguire. Che ne sarebbe, per esempio, degli artigiani se il loro lavoro servisse ad affamarli, procurando ricchezza solo a pochi altri? Un’altra riflessione ancora: che gliene pare, signor direttore, di un’agricoltura che trascina il Pil nazionale all’1,2 per cento e non trova un governo capace di riconoscerla centrale nei programmi di rilancio dell’economia del paese?. Michele Umana responsabile Coordinamento Produttori Agricoli Siciliani Direi che lei ha esposto bene l’altra faccia della medaglia agricoltura: quella che la caratterizza dal dopoguerra in qua. Ma ciò non esclude che si possa finalmente rimarcare con soddisfazione che, almeno per gli aspetti segnalati nell’articolo, si è invertita la tendenza. Poca cosa, forse, ma potrebbe essere un inizio di cambiamento. Taglio squilibrato sulle tariffe telefoniche Finalmente! Si è almeno incrinato l’impenetrabile muro dell’oligopolio della telefonia. L’Autorità delle telecomunicazioni è riuscita a ridurre del 20 per cento le tariffe della chiamate dal telefono fisso ai cellulari. Potremo adesso risparmiare chiamando i telefonini Tim e Vodafone. Era ora. Ma perché la riduzione non riguarda Wind? C. Bellieri – Foggia Anche se tardiva, la riduzione delle tariffe fisso-mobile, data la difficile situazione economica, è stata apprezzata dalle famiglie. Purtroppo, il costo delle comunicazioni verso Wind non è mutato. Le associazioni dei consumatori parlano di un trattamento di favore verso tale gestore, perché, come stigmatizza Adiconsum, non si capisce a quale criterio l’Autorità delle telecomunicazioni si sia ispirata per assumere una tale decisione. Wind conta oltre 12 milioni di utenti. Pertanto, l’aggravio non è affatto di portata limitata. A seguito della portabilità del proprio numero, pur passando da una compagnia ad un’altra, l’utente non è più in grado di conoscere il gestore finale e quindi la tariffa che gli viene addebitata. Le associazioni dei consumatori chiedono, pertanto, di rivedere l’ingiustificata decisione, e chiedono anche provvedimenti urgenti anche sui servizi non richiesti addebitati in bolletta e sull’esoso costo di 5 euro delle ricariche. Politici e questione morale Seguendo il tormentone estivo tra i politici sulla trita questione morale, mi sono imbattuto in una dichiarazione di Leoluca Orlando, della direzione della Margherita, in cui ha definito singolare la reazione di Chiti e di Bondi all’intervista di Parisi, che ha dato fiato al dibattito. Poi, ha affermato: I due esponenti politici dovrebbero porsi il problema della qualità della democrazia, che va affrontato in maniera trasversale da tutte le forze politiche. E, considerato che il problema esiste, forse i partiti farebbero bene a stipulare un ‘patto etico’ che una volta definito concordemente sia rispettato dalle forze politiche. Ma ecco il motivo della mia sorpresa:Una proposta di ‘patto etico’ di notevole valore – continua Orlando – è stata fatta dal Movimento per l’Unità promosso dai Focolarini di Chiara Lubich, trovando consensi in esponenti di entrambi gli schieramenti ma un muro di indifferenza nei dirigenti di forze politiche di entrambi i poli. Non conosco l’iniziativa. Perché non ne parlate, tanto più in questo frangente?. L.A. – Ferrara Da parte mia non conoscevo l’apprezzamento di Orlando per questa iniziativa che è stata presentata lo scorso 16 luglio. Ne parliamo proprio su questo numero a pag. 23. La storia addomesticata Vorrei fare una piccola osservazione riguardante l’articolo Chiudere i conti con la storia (Cn n. 10 del 25 maggio). È nota la polemica del Giappone con la Cina e con la Corea riguardo a come viene insegnata la storia nel paese del Sol levante. La verità sul passato con le invasioni di tanti paesi (Manciuria, Corea, ecc.) viene taciuta o deformata perché è una vergogna, e nella cultura di qui è impossibile perdere la faccia: per questo anche tanti suicidi…! Leggo: Ci sarebbero volute, in agosto, le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki per convincere i giapponesi a non immolarsi fino all’ultimo uomo. Questa è una parte della verità, e quello che segue forse non lo si troverà scritto neanche nei libri di storia occidentali: il Giappone aveva già perso gli alleati perché la guerra era finita, ed era stato già deciso dal governo che avrebbero smesso. La bomba su Hiroshima per gli americani è stato un test tecnico: difatti è stata fatta scoppiare a 100 metri di altezza sopra la città perché avesse il più grande diametro di influenza. Scrivo questo solo per dire che chissà quando conosceremo la storia vera…Tutto però ci spinge anche qui a lavorare perché si arrivi al mondo unito e perché anche la tecnica serva alla fratellanza universale, e non il contrario!. M. E. Z. – Tokyo È vero: chissà quando conosceremo come sono andate le cose. Anche sugli avvenimenti bellici in Europa molte verità sono emerse assai lentamente, e alcune ancora non vengono accettate ufficialmente. La gente però sapeva e quei regimi che erano stati costruiti sulla menzogna si sono sgretolati anche per questo motivo. Si dice giustamente che il tempo è galantuomo. Forse è giunto il momento di scrivere anche sui libri di testo giapponesi cosa è veramente successo in Cina e in Corea sessant’anni fa. Quanto alle bombe atomiche, si sa che la versione ufficiale secondo la quale il loro uso fu giustificato perché evitarono un prolungamento della guerra che avrebbe causato molti più morti, è in parte una versione di comodo. Ma può essere altrettanto di comodo quella secondo cui i giapponesi, che disponevano ancora di otto milioni di uomini e di un grande arsenale bellico, stessero già per arrendersi. Abbiamo visto purtroppo come i tedeschi abbiano difeso Berlino casa per casa mandando a morire anche i bambini. Senza volere assolutamente legittimare l’uso delle bombe atomiche, ritengo che i giapponesi avrebbero potuto continuare a combattere ancora a lungo.Tuttavia convengo che la frase citata potrebbe essere intesa come una giustificazione del fatto, per cui ringrazio di avere avuto occasione di precisare meglio.