La posta del direttore
SPONTANEI I PRIMI SOCCORSI Quando il maremoto ha colpito alcuni paesi dell’Asia, compreso il sud della Thailandia, ero in viaggio da Bangkok per Chiang Mai per passare il fine anno con i focolarini di quella città. Nel frattempo le notizie della tragedia avevano già fatto il giro del mondo. Entrando in casa ho visto accumulate borse da inviare al sud. Contenevano una montagna di vestiario e molti viveri, donati da cattolici e da buddhisti. Davvero ci troviamo di fronte a una catastrofe di proporzioni inimmaginabili. Eppure, il tremendo dolore e lo sgomento hanno svegliato in tutti qualcosa che è innato nell’animo di ogni essere umano, l’esigenza di aiutare concretamente chi si trova in necessità. La prima persona che ho incontrato a Chiang Mai è stato un giovane venuto per consegnarci i soldi che aveva raccolto in una scatola con i suoi amici dell’università. Un altro giovane, che vive nell’estremo nord al confine con la Mynmar (Birmania), mi ha chiamato per dire che era già sul campo di battaglia, nel posto più sinistrato per partecipare ai soccorsi. Altri sono subito partiti per il sud, per portare i primi aiuti raccolti e vedere cosa si potrà fare successivamente. Nella comunità oltre a donare i denari, c’è chi aiuta negli ospedali, chi dona sangue, chi fa l’interprete per i turisti coinvolti… Ognuno nel suo posto di lavoro si fa carico di promuovere iniziative di soccorso di vario tipo. Ma il vero miracolo a cui abbiamo assistito è il formarsi attorno a noi di brani di fraternità pur in una circostanza di così grande sofferenza. Miracolo reso possibile da cuori generosi che non conoscono differenza né di razza, né di fede… Oltre alle azioni concrete, ci uniamo a tutti quanti per pregare per tutte le vittime nei paesi sinistrati. Chun Boc Tay – Bangkok IL DOLORE DI UN VESCOVO La mia diocesi di Port Blair comprende il gruppo delle Isole Andamane nel nord e il gruppo delle Isole Nicobare al Sud (…). Qui sono morte più di 10 mila persone, per la maggior parte nelle Nicobare. Non conosciamo ancora dettagli perché non è possibile comunicare per telefono o in altro modo (…). Grazie a Dio le persone della nostra chiesa stanno bene (…). Ma le chiese, i presbiteri, i conventi le scuole sono stati completamente distrutti nelle isole Nicobare (…). Negli ultimi 20 anni, vi sono stati molti sviluppi, in particolare con la creazione di nuove parrocchie, conventi, scuole, ostelli, ecc. Ora con questa distruzione mi domando che messaggio ci stia inviando il Signore. Le operazioni di soccorso stanno andando avanti. Migliaia di persone sono state evacuate in aereo e con le navi. Stiamo facendo del nostro meglio nell’opera di soccorso, aiutando la popolazione sofferente che ha trovato rifugio nei vari campi che sono stati installati. Fa male al cuore ascoltare i loro racconti di dolore. Molti si sono salvati nuotando, arrampicandosi sugli alberi, e trascorrendo giorni e notti nella giungla per evitare la furia delle onde gigantesche. Le loro storie fanno piangere (…). Mons.Alex Dias, vescovo di Pont Blair CONTIAMO SULLA PROVVIDENZA … Eppure in tutto questo immenso dolore si sperimenta l’amore tra la gente. Le famiglie hanno aperto le loro case per accogliere chi è rimasto senza nulla, i giovani sono impegnati a raccogliere i corpi per fare funerali semplici ma dignitosi, come merita l’uomo, immagine di Dio. Suore e religiosi lavorano senza sosta e sono punto di riferimento per tutti al di là della religione; le donne non smettono di cucinare riso per tutti, i medici intervengono senza risparmiarsi, i più poveri cercano di aiutare chi è in difficoltà ancora maggiori. Con mio fratello e una rete di benzinai prepariamo dei pacchi fabbisogno: una cucinetta al kerosene, piatti, medicine per pulire l’acqua, un tappeto di foglie secche per dormire, riso e biscotti per i bambini, lenticchie (…). Raccogliamo dalla gente e nei negozi, acquistiamo con lo sconto. Non facciamo calcoli dei nostri soldi che sono praticamente finiti, ma sulla provvidenza. Anche la nostra piccola macchina l’abbiamo messa a disposizione per trasportare le persone. Abbiamo avviato un programma per la distribuzione degli aiuti… Io non posso più spostarmi dalla città: la nostra casa accoglie adulti e bambini, malati o feriti di cui prenderci cura rientrando dal lavoro. Il nostro è un contributo piccolo ma che arriva subito e direttamente alle famiglie e permette loro di sopravvivere. E questa è adesso la cosa più importante… La grande lezione è che solo l’amore resta. Un giovane di Madras PERCHÉ NON REGALARE UNA BARCA? In questi giorni di profonda tristezza e senso di impotenza di fronte alla catastrofe immane che l’occhio della comunicazione ci mette davanti, a parte aderire subito alle raccolte di fondi sotto le più varie forme, abbiamo pensato far girare tra gli amici l’idea di non adottare solo un bimbo rimasto orfano, ma adottare per intero un nucleo familiare. Sicuramente ce ne saranno in quei luoghi colpiti in modo da ridare subito oltre agli aiuti di prima necessità anche quel sostegno quel punto di riferimento; ma come fare? Poi, parlando ieri con un amico proveniente dal Bangladesh, un’altra idea: in quelle isole di pescatori dove la barca e la rete sono l’unica fonte di sopravvivenza, come potremmo comperare loro una barca? Molte sono le idee che ci vengono in mente, ma non vorremmo che restassero solo tali. Forse parlandone in un più ampio spazio che è il web qualcosa può nascere. Roberto e Ida Casarotto Effettivamente diversi centri del movimento e numerosi nuclei familiari ad essi legati sono situati nei paesi colpiti dal maremoto, ma fortunatamente non proprio nelle aree distrutte. Tuttavia, come si evince da queste corrispondenze, e da quanto diciamo nello speciale dedicato alla tragedia dello tsunami e alla solidarietà che ha suscitato, tutti si stanno prodigando in mille modi per soccorrere le persone colpite. Per quanto concerne gli aiuti provenienti dall’Italia, però, abbiamo pensato di convogliare ogni offerta tramite l’Amu, che ha già una notevole esperienza in proposito.All’Amu possiamo girare anche l’idea delle barche per i pescatori. DALL’ASIA CI SCRIVONO La posta di questo numero ha un carattere monografico per consentirci di ospitare almeno alcune delle tante lettere arrivate in redazione dalle zone dell’Asia colpite dallo tsunami. Si tratta per lo più di notizie inviateci da persone del Movimento dei focolari o di abbonati a Città nuova, comunque di notizie di famiglia alle quali ci è sembrato importante dare voce, in modo che, già nell’ascolto nostro di quanto hanno voluto comunicarci, possano sentire la nostra prima partecipazione al dramma che stanno vivendo. Ovviamente ciò non basta e la nostra prima risposta è stata quella di offrire un nostro contributo concreto. Molti lo hanno certamente già fatto. Come Città nuova abbiamo scelto di partecipare alla raccolta di fondi organizzata dall’Amu. Le indicazioni sono a pag. 15 nell’ampio servizio che abbiamo dedicato alla tragedia del maremoto. SIAMO DAVVERO UN VILLAGGIO GLOBALE Nella vita di ciascuno di noi ci sono momenti che ci collegano alla storia dell’umanità: attimi o giorni che non abbiamo più dimenticato o che non dimenticheremo più. Ricordo esattamente quando la mattina, infilandomi il cappotto per andare a scuola, la mia mente di studente della quarta elementare restò pietrificata ad ascoltare la radio che diceva del Monte Toc, scivolato nel bacino del Vajont, e di quell’ondata che aveva spazzato via durante la notte una vallata. E chi potrà mai dimenticare l’11 settembre? Per ognuno di noi c’è ormai un prima e un dopo quei due aerei che hanno puntato dritti sulle Torri gemelle. Ora il mondo sarà quello del dopo-tsunami. Nel 1966 sembrava impossibile assistere allo spettacolo della gente e delle auto in balia dell’Arno infuriato, e senza dubbio nell’immaginario mondiale non trovava posto, fino al 26 dicembre scorso, una quasi diretta televisiva di ondate impietose che hanno lasciato solo morte e distruzione sulle coste di tutto il sud dell’Asia. Siamo diventati davvero un villaggio globale. Mi pare sia questa la chiave di lettura più interessante degli avvenimenti dal 26 dicembre in poi. Siamo stati toccati non solo perché le immagini ci sono entrate nelle case, dovunque fossimo, ma anche perché ci siamo accorti di quanto qualsiasi cosa accada sul pianeta coinvolga, ormai, inesorabilmente ciascun uomo nessuno può più dichiararsi estraneo. R. C. – Bombay Abbiamo dedicato lo speciale di Città nuova a questo argomento, sottolineando proprio questo aspetto della fraternità universale come sentimento recuperato grazie alla condivisione del dolore per quanto è accaduto in Asia. Gli italiani, si sa, hanno cuore e, come sempre nell’emergenza, si sono mostrati generosi. Addirittura i più generosi. Ma hanno la memoria corta. C’è da augurarsi che, come per quegli avvenimenti epocali che lei cita, dei quali veramente tutti noi, compatibilmente con l’anagrafe di ciascuno, serbiamo memoria, anche i sentimenti suscitati da questa tragedia continuino a dettarci comportamenti appropriati. Per parte nostra continueremo a tenere aperto il dibattito.