La posta del direttore

CENSURATI 18 SECOLI DI STORIA Vorrei attirare la vostra attenzione su di un dibattito che, a parer mio, viene attuato troppo in sordina. Ho infatti chiesto a persone che frequentano la chiesa se erano al corrente che a metà settembre, in ultima lettura, sarà approvato lo statuto della nostra Regione, e molti mi hanno detto di non saperne nulla. È pur vero che la Conferenza episcopale regionale ha inviato al Consiglio regionale una lettera con la quale si protesta per alcune fondamentali deficienze e per certe posizioni contrarie alla morale comune sulla famiglia e sulla sussidiarietà, ma questo documento è stato poco diffuso. Stiamo anche aspettando che si pronuncino i consiglieri regionali appartenenti ai vari partiti e ci auguriamo che un documento del genere non ottenga il voto favorevole dei gruppi che, anche se non in tutto, si ispirano ai valori cristiani. P .L. G. – Modena Ne abbiamo già parlato rispondendo alle proteste dei nostri lettori a proposito degli statuti regionali di Umbria e Toscana. La stessa sorte sta toccando all’Emilia-Romagna secondo un evidente disegno preordinato. Riconoscere come fondanti i valori della Resistenza al nazismo e al fascismo e gli ideali del Risorgimento, negando il ruolo della fede nella formazione delle identità regionale, significa censurare 18 secoli di storia, commentano i vescovi dell’Emilia Romagna. Inoltre – continuano i vescovi – lo Statuto elenca diffusamente i più svariati diritti; non menziona però il primo e fondamentale di essi: il diritto alla vita, con tutto quello che ne dovrebbe conseguire sul piano delle politiche sociali, famigliari, culturali ed economiche. Altri sottolinea che il legislatore regionale ha chiuso gli occhi di fronte alle migliaia di campanili, alle migliaia di immagini votive, alle cattedrali ed alle chiese, alle abbazie ed alle pievi sparse uniformemente in tutta la regione. Non ricorda l’origine della maggior parte degli istituti di beneficenza e assistenza, dimentica le centinaia di paesi o frazioni che dalla loro origine, persa nella notte dei tempi, portano il nome di un santo cristiano. Non conosce che la storia della nostra terra è stata stata gelosamente e preziosamente custodita per oltre 1.000 anni dagli archivi abbaziali e parrocchiali. Per cui si può ben dire che l’attuale stesura dello statuto della Regione Emilia Romagna non rispetta la storia e non rispetta la verità. PER BESLAN UNA CANDELA NON BASTA L’eccidio di Beslan è l’ultimo atto di una catena di barbarie che di giorno in giorno si fa più lunga e raccapricciante. Al dolore che ci lascia tramortiti si aggiungono la rabbia dell’impotenza e la vergogna del sacrilegio nel quale siamo trascinati. Diventa impossibile vivere la vita di tutti i giorni, come se non fosse successo niente: accendiamo una piccola candela per i bambini assassinati nella scuola di Beslan, nelle scuole di tutto il mondo. Ma poi? Nell’attesa che tutti si accorgano che non esistono guerre giuste, che la guerra in sé è un atto terroristico e barbaro, proviamo almeno a ridefinire qualche soglia invalicabile: bambini, donne e vecchi non si toccano, non si toccano i civili, non si torturano i prigionieri, non si ammazzano gli ostaggi. Proviamo a far sentire qualche cosa di più della nostra pietà, del nostro sdegno. Proviamo a far sentire forte la nostra voce in difesa dei più elementari princìpi di civiltà. Proviamo a far politica, vera. Proviamo a far sentire che più del prezzo della benzina, più del campionato di calcio, molto, molto di più abbiamo a cuore la sorte dei bambini, di tutti i bambini: perché è di quella che ci verrà chiesto conto. Non basterà dire che la responsabilità della strage di Beslan ricade sui terroristi o, forse, sul maldestro intervento militare russo: tutti coloro che vogliono le guerre, che le fomentano, le benedicono, le impongono, le finanziano, ci mangiano sopra, le giustificano, le falsificano, via, via fino a coloro che le accettano per ignavia, tutti porteranno la responsabilità di quella strage e di tutte le stragi. Ogni guerra diventa un’occasione offerta ad assassini sanguinari per dare sfogo alla propria ferocia, per giustificare ogni mostruosità (Il famigerato Zeljko Raznatovic, il co- mandante Arkan, sarebbe rimasto un criminale comune se la guerra in Bosnia non gli avesse offerto l’occasione di porsi a capo delle tigri, una banda paramilitare di stupratori e infanticidi). Mario Zanchini – Treviso LE OLIMPIADI NON HANNO FERMATO LE GUERRE Siamo due gen 3 di Trieste, che nei mesi scorsi hanno sottoscritto e diffuso la petizione ai responsabili di governo ed ai rappresentanti degli organismi internazionali, per la sospensione di tutte le attività belliche durante i giochi olimpici. La lodevole iniziativa del presidente della Grecia era subito stata fatta propria dai Ragazzi per l’unità dell’Austria, i quali avevano poi allargato questa raccolta di firme. A noi sembrava proprio un’azione bellissima, una proposta in direzione del mondo unito. Però in questi giorni, mentre si stanno svolgendo queste belle Olimpiadi – da sempre segno e simbolo di fratellanza e unità dei popoli – le prime notizie dei giornali sono sempre dedicate alla guerra. Che tristezza e delusione! Dispiace tantissimo a noi, così come a tutti i gen 3 e a tutti coloro che avevano sottoscritto la nostra petizione. Non ci resta che andare avanti a vivere e diffondere con la vita, questa nuova cultura in cui crediamo . Michele e Simone Zornada -Trieste Mi pare evidente che quanto avete fatto ha un grande valore in sé, a prescindere dal risultato. Non so quante firme abbiate raccolto, ma la vostra iniziativa unita alle tante, le più varie, di cui abbiamo notizia – per non parlare di quelle di cui nulla sappiamo, e che sono certamente molte di più, tutte finalizzate alla pace – poco alla volta produrranno l’effetto: quello della goccia che scava la lapide. Per questo vi ringraziamo e vi chiediamo di non desistere nel vostro proposito di costruttori di pace. PICCOLE PERLE Desidero congratularmi con Michele Genisio in modo particolare per l’ultimo articolo del n° 15 del periodico, Vi amerò tutta la vita, per la intelligente sensibilità con cui sono state presentate le due figure di mogli di due grandi personaggi della nostra epoca… e le loro scelte. Non solo mi sono commossa, ma ho anche apprezzato la lettura aperta e attenta delle vicende. Quante riflessioni da quelle tre pagine! Uno degli apporti di notevole qualità che il periodico regala ai suoi lettori. Finisco per non abituarmi mai alle piccole perle di ogni numero! Grazie a tutti. Annamaria Gatti DOPO IL SEQUESTRO DELLE DUE SIMONE Mi domando se si possa credere alla tregua che si è instaurata fra gli opposti schieramenti politici italiani, oltre che fra noi ed i musulmani di casa nostra, per fare convergere gli sforzi indirizzati alla liberazione delle due giovani volontarie sequestrate in Iraq. E se sì, quanto potrà durare?. Giovanni R. – Milano Vorrei tanto che questa corrispondenza risultasse superata dagli avvenimenti. Vorrei cioè che quando uscirà questo numero della rivista stessimo già festeggiando la liberazione di Simona Pari, Simona Torretta e dei due giovani cooperanti iracheni. Questo ennesimo sequestro è ancor più odioso perché ha colpito chi andava disarmato in aiuto degli iracheni, e per questo lo ritengo anche controproducente. Se l’intento dei sequestratori era, come pare, di dividere gli italiani, li ha invece compattati. E per di più ha unito nel biasimo anche la grande maggioranza dei musulmani residenti in Italia, e non solo. Nessuno può pensare che questi fatti giovino alla causa che gli attentatori vogliono servire. Infatti qualcosa di positivo sta accadendo, e lo vediamo in questi giorni. Gli anticorpi che si vanno generando nella società non sono più quelli della vendetta e della guerra preventiva, ma si fa strada uno sforzo per comprendere ciò che sta accadendo. Innanzitutto con un rapporto nuovo con i musulmani di casa nostra. Dovranno essere loro stessi, per restare credibili, a emarginare quelli di loro che seminano odio e reclutano kamikaze. Dovremo essere noi ad accorgerci che il triste spettacolo di delegittimazione reciproca non costruisce ma demolisce il nostro tessuto sociale. Ecco perché mi arrischio ad essere ottimista. Perché anche il bene può essere contagioso. E bene è convenire su alcuni dati di fatto: che volontari, giornalisti e i nostri stessi carabinieri sono in Iraq per cercare di aiutare gli iracheni; così come è bene convenire sull’iniquità delle grandi sperequazioni che dividono il mondo, e male è non reagire davanti a tutto ciò. E soprattutto è bene convenire finalmente sul fatto che il male e la violenza non si fronteggiano con una guerra. Da molte parti queste valutazioni sono venute in evidenza e mi sono sembrate sincere, soprattutto perché contenevano una qualche ammissione di colpa, almeno parziale per il clima di odio o quantomeno di reciproca insofferenza al quale sembriamo abituati.

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