La posta del direttore
Droga e indifferenza “Scrivo nel tentativo di forzare un muro di indifferenza sul problema della tossicodipendenza e far arrivare un messaggio ai lettori. “Le prime persone che combattono contro la droga sono gli operatori del volontariato, silenziosi, pazienti, metodici e con una forza d’animo e perseveranza nei propri ideali che non è comune a tutti. “Il nostro lavoro diventa estremamente faticoso se non vi è collaborazione dall’esterno. La droga tocca tutti, non solo chi ha il dramma in famiglia ma anche chi abita lì vicino, chi deve rientrare in casa la sera, chi insegna, chi ha figli e chi no; coinvolge chiunque si auguri che il mondo divenga migliore e non stia lì ad aspettare che gli altri facciano il lavoro per lui. “Cosa si può fare: parlarne, coinvolgere chi ha il problema ad uscire dal silenzio ad affrontarlo, spingere i ragazzi ad entrare in comunità, farli mettere in contatto con gli operatori. “Pensate ci voglia troppo tempo? Pochi minuti bastano per sentire il gusto di non essere rimasti inerti a guardare e, se fatto veramente con intenzione, anche voi potreste dire:”Vedi quel ragazzo? L’ho aiutato ad uscire dalla droga”. “Un po’ di attenzione può salvare una vita”. Narconon Grifone Giusy Viola – Catania Anche se quest’anno i morti per overdose sono diminuiti, le statistiche parlano di un ulteriore calo della soglia di accesso alla droga. Sono sempre di più e sempre più giovani i ragazzi che non sanno rifiutare questa esperienza (uno su quattro) dalla quale è così difficile tornare indietro. Davvero non si può che condividere questo appello che ci arriva dall’associazione Narconon Grifone di Ficarazzi. Ragazzi rom “Da 15 anni seguo con attenzione le vicende di una famiglia rom, stanziale in uno dei tanti campi della capitale; curo l’inserimento a scuola dei figli minori e cerco di avviare al lavoro i più grandi, posso testimoniare quanta fatica, quante mortificazioni e quante delusioni vivono questi ragazzi per il pregiudizio radicato e generalizzato sugli zingari. “Potrei raccontare le tante sofferenze e le poche gioie che hanno vissuto in questi anni. Sono considerati gli ultimi degli ultimi. Anche quelli che vorrebbero cambiare vita. “Agli esami non vengono ammessi perché nella maggioranza dei docenti c’è il convincimento diffuso che per questi ragazzi la terza media sia inutile! Nel terzo millennio il diritto allo studio non è uguale per tutti”. Wilma Rotondo – Roma Risponde certamente a verità il quadro esposto dalla nostra lettrice. Purtroppo l’immagine più comune di questi ragazzi e delle loro famiglie è un’altra, che poggia sull’esperienza negativa dell’accattonaggio aggressivo e dei furtarelli che vengono genericamente addebitati agli “zingari”. Per poter distinguere, intervenire opportunamente, aiutare chi già si occupa di loro, occorre conoscere. Ecco perché ci ripromettiamo di tornare più diffusamente sull’argomento, accettando la collabo- razione di chi, come lei, ha già fatto una lunga esperienza di solidarietà. Immigrati e integrazione culturale “In merito all’articolo apparso nel n.12/02 a proposito dell’immigrazione. Nulla in contrario sulle norme dell’integrazione che gli italiani dovrebbero rispettare nei confronti degli extracomunitari, ma c’è un problema, forse l’unico e che rende la strada molto complicata: il fatto che spesso sono proprio loro, gli immigrati, a non volersi integrare, a rifiutare ogni contatto, ogni dialogo, pronti ai semafori e all’entrata di ogni locale pubblico a denigrare noi cittadini. È pur vero che abitando noi in questo paese dobbiamo almeno cercare di difendere la nostra identità, ed è anche vero che se c’è questa insofferenza che spira in Europa non è per trascurabili esigenze di tutte le popolazioni europee. “Quanti poi, politici e no, che ipocritamente sostengono l’anarchia assoluta alle frontiere, la clandestinità, e di conseguenza, la schiavizzazione di questa povera gente, non è che vogliono generare un “esercito proletario di riserva” a loro uso e consumo?”. Marco Bertucci – Palermo C’è un po’ di vero in tutte le sue affermazioni, prese singolarmente: non tutti gli immigrati, specie quelli di religione musulmana, desiderano integrarsi culturalmente. Altri importano da noi abuso, violenza e illegalità. Ma si tratta di una minoranza che in gran parte è indotta a ciò anche a motivo della non accoglienza che trova. Ma guardando al fenomeno nel suo complesso, le sue implicazioni appaiono altre. Innanzitutto, regolamentando il flusso degli immigrati si ovvierebbe certamente ad una parte di questi inconvenienti. Per il resto, molto dipenderà dalla nostra volontà di superare le distanze culturali e psicologiche che ci separano. Ci ritroveremo ad avere allora un esercito di collaboratori di cui abbiamo realmente bisogno. Gente che lentamente assorbirà anche la nostra cultura – basta guardare ai loro bambini che parlano subito l’italiano con le diverse inflessioni regionali – mentre potrà cedere a noi, se vorremo accettarlo, il meglio della propria. Nella nostra storia millenaria non siamo certo alla prima esperienza di questo genere. Politicamente corretti? “Sono abbonato da diversi anni e pur trovando la rivista di facile lettura, familiare, sensibile ai problemi più discussi, ispirata ai valori cristiani , personalmente non condivido la linea del “politicamente corretto” che non deve urtare la sensibilità del pensiero dominante, pensando all’esempio di Gesù che fu “stoltezza per i pagani e scandalo per i giudei”. “Vi comunico pertanto la disdetta dell’abbonamento e vi auguro, comunque, di continuare nel vostro meritevole e impegnativo compito di diffondere la Verità intesa come servizio a Gesù”. Filippo Vannelli Innanzitutto grazie per la franchezza. Mi dispiace di perdere un lettore che ci apprezza per i valori cui più teniamo. Quanto al “pensiero dominante” che, a suo dire, non vorremmo urtare, l’esperienza insegna che non ce n’è uno solo, ma che assai spesso viene definito tale, in senso dispregiativo, quello della parte avversa; sicché alla fine il vero “pensiero dominante” finisce per essere quello dell’intolleranza. In questa situazione, ci sforzeremo comunque di dare credito alle buone intenzioni, a cominciare da quelle di chi ci scrive, cercando ovviamente di servire per quanto possibile e umilmente la “Verità”. Non però seguendo la logica dualistica che oggi è vincente, ma nella logica di chi, senza enfatizzare le posizioni, vuole tendere al mondo unito seguendo un cammino che privilegia il dialogo e che rispetta le opinioni degli altri. Giacobinismo della magistratura “Sollecito una riflessione del nostro periodico, sui documenti che allego, la cui lettura è stata per me motivo di profonda amarezza. “Venendo al tema della magistratura da voi recentemente affrontato, mi pare che questi documenti dimostrino come “il giacobinismo ideologico” non caratterizza solo l’operato di qualche p.m., ma sia ben impresso nelle pagine della nostra più agguerrita giurisprudenza e della dottrina, che da lei muovendo, finisce per condizionare ogni potere dello stato ed aggredire ogni formazione sociale. “Viviamo da tempo la stagione del soggettivismo etico e non possiamo ignorare che questa profonda malattia sociale risolve necessariamente il problema della legge in una questione di forza, e che, in un sistema di formale ripartizione dei poteri, quello giurisdizionale che attribuisce ad una corporazione di burocrati il potere di accusare, imprigionare, giudicare e condannare, prevarica agevolmente ed anche nascostamente ogni altro potere. “È un grave errore costituzionale l’aver scritto che il C.s.m. sia un organo di rappresentanza dei giudici. Che tale sia diventato e non più un organo di governo dei giudici è sintomatico di una malattia che richiede non il cambio dell’acqua ma la cura del bambino”. Giovanni Domenella Che l’operato di alcuni magistrati sia censurabile, è opinione che condividiamo, come risulta dall’articolo citato dal nostro lettore (“Magistratura. Il bambino e l’acqua sporca”, Città nuova n° 13/2002). Che una sorta di giacobinismo si sia diffuso, nell’ultimo decennio, in alcuni settori della magistratura italiana, Città nuova lo ha scritto e descritto, riferendosi proprio al pensiero di Robespierre (“Dalla parte dei cittadini”, n°1/2002). Da questo, a fare della magistratura un potere irresistibile che condiziona tutti gli altri e aggredisce “ogni formazione sociale”, ce ne corre, e non lo condividiamo. Ci sembra anzi che, di questi tempi, il potere esecutivo (governo) sia tutt’altro che debole o intimidito. Infine, scrivere che il Consiglio superiore della magistratura rappresenta i giudici non è affatto un “errore costituzionale “, dato che il Consiglio è composto da 33 membri, 20 dei quali – dunque la maggioranza assoluta – sono eletti proprio dai magistrati ordinari. Dire che il Consiglio è organo di governo è esatto, purché si intenda di “autogoverno”, a garanzia dell’autonomia e indipendenza della magistratura da ogni altro potere (art. 104 Cost.); autogoverno parziale e mitigato dalla presenza di 10 membri eletti dal Parlamento, e garantito nella sua altissima dignità costituzionale dal presidente della Repubblica, che è presidente anche del Consiglio stesso.