La posta del direttore
Ha ancora un senso l’ergastolo? Una considerazione sull’articolo di Luigino Bruni sull’ergastolo: stimolante senz’altro, ma forse non del tutto condivisibile nelle idee di fondo. L’ergastolo è duro, una specie di morte lenta, d’accordo! Ma si tiene presente anche la necessità che la convivenza tra i cittadini deve essere difesa da chi ha ucciso, fatto stragi, è mafioso, ecc.? Ricordiamoci che la nostra Costituzione, nell’indicare la rieducazione come fine della pena, non esclude l’altra finalità: evitare che si possa delinquere di nuovo. Mi piacerebbe che ne parlaste ancora . Avv. Carlo Fusco – Roma Sul piano umanitario condivido l’appello fatto da Luigino Bruni nell’editoriale del n. 12 sulla pena dell’ergastolo. Sul piano tecnico confermo che in pratica già ci sono misure che riducono l’afflittività e, in certi casi, la stessa effettività della pena dell’ergastolo. Sul piano giuridico, cioè della legittimità di una sanzione che preclude il ritorno nella società civile fino alla fine della vita, è un problema di diritto penale, e fondamentalmente di giustizia. Le legislazioni dei singoli Stati, ovviamente, sono diverse a seconda delle loro culture. Vorrei sottolineare, comunque, che le esperienze veramente mirabili fatte dai volontari nelle carceri sono massimamente illuminanti. Esse dimostrano che la vera sofferenza dei carcerati – e certamente vanno compresi gli ergastolani – è l’isolamento e la solitudine; e il senso di esclusione dalla società civile, che loro soffrono come rifiuto da parte della stessa. È scientificamente dimostrato che tutto ciò, oltre al terribile ambiente carcerario, porta alla perdita della capacità di relazionarsi. I volontari avvicinano questi detenuti come fratelli, e solo così, in questo sentirsi considerati, essi riacquistano man mano la speranza e la fiducia, e possono succedere miracoli. Io pure penso che sia questa la via per venire loro incontro e aiutarli a superare la loro sofferenza. Gianni Caso – magistrato L’articolo di Bruni, assai stimolante, ha aperto un dialogo su uno dei problemi giuridici più delicati del momento, tra domanda di sicurezza, certezza della pena e comprensione umanitaria. Ne parleremo ancora. La riconoscenza di un ex carcerato Egregio direttore, circa due anni or sono, gentilmente, pubblicò sulla sua rivista, il mio disperato appello di poter comunicare con qualcuno. Da allora ho ricevuto una infinità di lettere che mi hanno aiutato a… vivere ed a sopportare con più rassegnazione la mia restrizione. Tutti sono stati con me umani, gentili, comprensivi e… generosi. Ora sto per finire il mio calvario, precisamente, sarò liberato il 21 agosto c.a. Tramite lei, vorrei dire: grazie a tutti! Sia a quelli con i quali manterrò, anche da persona libera, un rapporto; sia a chi è stato un amico sporadico e occasionale, ma che ugualmente ha contribuito a confortarmi. Grazie! Naturalmente, la mia riconoscenza, la mia gratitudine, il mio grazie, è rivolto anche a lei, alla grande famiglia di Città nuova, per la quale formulo auguri di prosperità. Gino Baccani – Firenze La lettera conferma quanto detto dal giudice Caso. Ci rallegriamo con Gino Baccani perchè il suo calvario è finito e ringraziamo quanti fra i nostri lettori ne hanno voluto alleviare la sofferenza. Augias e Dario Fo: fu vero genio? Da qualche tempo, illustri pensatori del calibro di Augias, Dario Fo, Oddifreddi ecc., si dedicano ad impegnativi problemi storico- religiosi. Nei loro libri e nelle loro allocuzioni, discettano di Chiesa e papato con una sicurezza (e sicumera) tali da far arrossire san Tommaso d’Aquino. Tanta sapienza è oggetto di devota attenzione nell’olimpo televisivo, dove già hanno notevole spazio i Santoro ed i Travaglio. Altri scrittori, le cui opere pregevoli e documentate trattano eguali argomenti, sono semplicemente ignorati nei salotti televisivi alla moda. Come spiegare certe alchimie a noi poveri mortali?. Lucio Skola Mi riferisco al volume di Augias su Gesù Cristo. La generosa pubblicità profusa su di esso non può nasconderne evidenti lacune di sostanza e di metodo, come le seguenti: 1) un vizio logico di fondo, per cui a priori si esclude, anche per assurdo, l’ipotesi di un Gesù non solo umano; 2) l’attenzione, spesso gratuita, accordata a certe dicerie (meglio se dissacranti) di origine apocrifa sulla Figura tratteggiata. Tali elementi mal si addicono ad un lavoro che si vorrebbe blasonare di credibilità storica, laddove prevale un evidente preconcetto laicista. Danny Ricci È vero. A questo punto c’è chi spegne il televisore o chiude il libro. E c’è chi scrive ad un giornale come ha fatto lei, pur sapendo che servirà a ben poco. Certo, dovrebbero essere in tanti a scrivere e protestare. O quanto meno a ricordarsi, al momento giusto, a chi addebitare questo scempio che la televisione italiana fa dell’informazione e dell’intrattenimento propinandoci per buoni gli sproloqui di certi personaggi, in modo surrettizio con i soldi dei contribuenti. Detto ciò, le argomentazioni di questi autori possono diventare uno stimolo per una fede più cosciente, razionale e vissuta. A proposito di Cina e Tibet Sono stato colto da vero e proprio dispiacere leggendo gli articoli di Michele Zanzucchi sulla Cina e il Tibet. In effetti mi sembra che la ricostruzione fatta non tenga conto di alcuni dati molto importanti e forse poco noti. In Cina sono, infatti, tuttora presenti un migliaio di laogai in cui vengono rinchiusi milioni di persone… Sono tuttora in corso gravi persecuzioni contro i tibetani… È stato recentemente commesso un eccidio al passo di Nang Pala, sono stati distrutti ancora numerosi monasteri e attualmente è in corso una deportazione di 250 mila tibetani. Molti esponenti della Falun Dafa vengono uccisi in modo atroce (uso di forni crematori) e i loro organi espiantati e venduti. Conoscendo questi dati mi sembra perciò che sia necessario prendere seriamente in considerazione tutta la verità di quanto avviene in quel grande e importante Paese. Mi sembra importante, oggi, più che mai ascoltare inoltre il grido del valoroso card. di Hong Kong, Zen, che invita ad amare ma anche a chiedere con forza il rispetto della dignità umana. Vincenzo Rizzo Risponde Michele Zanzucchi. Grazie delle sue riflessioni sul Tibet, simili a quelle di altri lettori. Di tanti documenti da lei segnalati, ero a conoscenza, di altri no, ma la sostanza non cambia. Ho intervistato due volte il card. Zen, a lungo, ed abbiamo condiviso le preoccupazioni sue sul futuro della Chiesa e dei diritti umani in Cina. A proposito dei miei articoli, mi è stato chiesto se ero sotto tutela del partito… In realtà non ero con nessuna guida obbligata, ma con un traduttore cinese da me scelto. Tutte le interviste che ho riportato sono autentiche e non pilotate. Che poi qualcuno abbia fatto dell’autocensura, questo è poco ma sicuro; ma nessuno mi ha imposto nulla. Ho scelto io l’albergo, l’itinerario, la gente da incontrare… Tutto assolutamente libero. I nomi sono autentici. E nessuno ha avuto conseguenze negative dalle mie interviste pubblicate. È in ogni caso difficile avere la mente lucida nel parlare di argomenti come la Cina e il Tibet. Confesso di essere un giornalista e non uno studioso, una persona che è andata sul posto, per cercare di cogliere il senso delle cose. È evidente che in Tibet siamo ancora in regime di occupazione. Nello stesso tempo tanta acqua è passata sotto i ponti dopo il 1950, lo stesso buddhismo tibetano ha fatto le sue autocritiche, mentre il Dalai Lama sta trattando con la Cina per un suo ritorno. Non difendo il regime di Pechino, tutt’altro. Nel contempo non posso non guardare ai grandi mutamenti che sono stati operati in questo periodo, e mi rendo conto che bisogna dare tempo al tempo perché dei cambiamenti reali e profondi avvengano. La inviterei ad andare in Tibet, a toccare con mano la sete spirituale che esiste, a vedere quante cose possono fare liberamente chiese e religioni. C’è una differenza enorme rispetto anche solo a dieci anni fa. La purificazione della memoria va fatta, con il riconoscimento delle colpe ma anche con un accordo, un compromesso per poter andare avanti. D’altronde il mio non è un giornalismo di denuncia, ma di fraternità. Altri fanno le denunce, io cerco quel che unisce. E non è buonismo, ma coscienza che quel che va verso l’unità va sottolineato e moltiplicato. E poi, che dire della lettera del papa del 27 maggio? Non ha cercato anche lui di venire incontro all’ammodernamento del regime cinese, dando fiducia, anche se ha chiesto una giusta libertà religiosa? Certo tante cose non vanno, e i campi di concentramento esistono ancora, e le espulsioni pure… Ma la chiave di lettura che ho scelto è quello che mi è sembrato andare nella giusta direzione.