La posta del direttore
Luci e ombre dal Sudamerica Sono del Venezuela e mi sono specializzato in Storia dell’America e Metodologia della storia. Sono rimasto molto contento dell’articolo che avete dedicato all’analisi della situazione socio-economica e politica di alcuni Paesi dell’America del Sud. Mi è piaciuto innanzitutto perché si è fatta un’analisi dall’interno di questa situazione attraverso le loro stesse categorie. Purtroppo l’eurocentrismo applica le sue categorie per capire le altre realtà. Dunque si è rispettata una realtà diversa e qui in Europa bisogna aver coraggio per farlo. E secondariamente perché l’analisi è positiva e dunque incoraggia a credere ancora in questo pezzo di umanità. Una positività che non nega i problemi che ci sono e le sfide da affrontare perché, da quello che ho capito, una delle finalità di questa analisi era quella di far vedere le potenzialità che stanno sorgendo nell’America del Sud in questo momento storico. Numa Rivero – Caracas Sono sostanzialmente d’accordo con lei. Tuttavia debbo dire di avere ricevuto anche lettere di garbato dissenso sull’articolo di Alberto Barlocci. Non tanto per lo sforzo lodevole di interpretare gli avvenimenti in positivo, quanto per avere dato troppo credito a personaggi quali Hugo Chavez che, instaurando quella che lui definisce dittatura democratica, non nasconde l’intento di portare il proprio Paese, e magari l’intera America Latina, sulle orme del castrismo. Bene, dunque, sottolineare il positivo dell’esperienza di emancipazione che l’America Latina sta vivendo. Senza però chiudere gli occhi davanti a ciò che perpetuerebbe una grave lacerazione interna a quegli stessi Paesi qualora si sostituissero alle dittature di ieri e alle claudicanti democrazie di oggi nuove dittature. Ciò detto convengo che un’analisi così positiva incoraggia a procedere con le proprie forze nel cammino di emancipazione e di unificazione: un’impresa che neppure per l’Europa è stata facile, né può dirsi conclusa. Telegiornali diseducativi Dopo il chiasso fatto intorno alla strage di Erba, ho sentito la necessità di scrivere al direttore di Raiuno: Egregio dott. Del Noce, vorrei farle arrivare tutta la mia disapprovazione per come continuamente vengono date le notizie negative ai numerosi telegiornali. Contengono infatti una tale accentuazione del negativo, della cattiveria, del male che fa male, da provare una repulsione verso il telegiornale stesso. Mi riferisco in modo particolare per quanto è accaduto ad Erba. È vero che ne parlano i giornali in lungo e in largo, ma la televisione dovrebbe essere altra cosa. Entra in tutte le famiglie in forma spesso subliminale e alimenta non poche volte tanti piccoli o grandi rancori che passerebbero in secondo piano se non venissero attizzati da questo contagio negativo. Come direttore di una rete di Stato tanto importante, non può non tenere conto di tutto questo? Le parlo anche a nome di tante altre persone che la pensano come me. Paola Farenzena L’argomento è scottante e non è la prima volta che ne parliamo. Purtroppo non basta cambiare canale, perché spesso si cade dalla padella nella brace, e perché, tutto sommato, il Tg1 non è il peggiore telegiornale in circolazione. Certe tossine si combattono anche col digiuno. Chi ha deciso di fare a meno della televisione per scelta, in genere è contento. Ma ci vuole coraggio. Resta comunque la protesta, come quella che ha fatto lei. Tuttavia, anche chi la pensa come lei, cioè la maggioranza silenziosa, dovrebbe scrivere direttamente, non delegare. Una nota: il direttore di Raiuno non è responsabile delle testate giornalistiche, ma lo è Gianni Riotta, cui invece andrebbe indirizzata la missiva. Il calcio italiano in lutto Una volta Indro Montanelli sentenziò: Mi verrebbe voglia di chiedere la cittadinanza del Ghana, tale è la vergogna che provo come italiano. Parole che faccio mie per esternare il turbamento e la collera che ho provato per la tragica uccisione dell’ispettore Filippo Raciti. La situazione nei nostri stadi è obiettivamente gravissima. Bisogna accentuare le prevenzione ricorrendo, se necessario, anche a misure più energiche. Il calcio non può e non deve morire. Franco Petraglia Cervinara (Av) È vero che il calcio non può e non deve morire. Purtroppo le contromisure prese sono durate lo spazio di una settimana e già si riprende a giocare anche in notturna. Dunque, a dispetto di tutto hanno vinto ancora una volta gli interessi economici di chi ha reso possibile l’impresa scandalosa di Catania. Ma hanno vinto anche quelle ideologie che, scusandola, assolvono la violenza nelle dimostrazioni di piazza. Violenza che troppo spesso viene tollerata dai politici. La lezione di Vicenza Crea scompiglio, incuti timore, è lo slogan scritto a grandi caratteri sul bianco muro di travertino dell’Istituto Luce di Roma, ora sede del municipio circoscrizionale, dove l’attuale presidente ha concesso alcuni locali ai giovani dei centri sociali. A parte l’imbrattamento con graffiti vari su un edificio di rilevanza storico-architettonica, mi ha colpito cosa ci può essere dietro quella scritta; mi sembra che, specie nelle grandi città, non pochi giovani sono attratti da certe ideologie pseudo-rivoluzionarie nelle quali la violenza e lo scontro giocano un ruolo determinante. Massimo De Carli – Roma È vero, dietro quelle scritte c’è il disagio di troppi giovani che di fatto oggi la società emargina, e che certe ideologie pseudo rivoluzionarie, come lei le definisce, sfruttano. Abbiamo visto nei recenti fatti di Catania dove portano talune connivenze.Non ci sono solo i giovani emarginati, però, che si abbandonano alla violenza. Molto spesso lo fanno anche giovani viziati, cosiddetti di buona famiglia. Ma abbiamo anche visto nella manifestazione di Vicenza come sia possibile incanalare la protesta in una dimostrazione pacifica, dove chi pesca nel torbido può essere emarginato. C’è da augurarsi che molti abbiano potuto riflettere e ricredersi. Chi erano i ragazzi di Via Panisperna? Nell’articolo di Città nuova che ricordava il centenario della nascita di Majorana, avete scritto che i cinque ragazzi di via Panisperna, oltre Majorana, erano Fermi, Amaldi, Segre e Corbino. Corbino non faceva parte del gruppo perché era il direttore dell’Istituto di fisica, ma i cinque ragazzi (li ricordo come si vedono nella piccola fotografia pubblicata, cominciando da destra) erano: Fermi, Majorana, Amaldi, Segre e Pontecorvo. A parte Amaldi che rimase a Roma e Majorana sulla cui scomparsa si è molto parlato, gli altri tre lasciarono l’Italia per ragioni razziali. Segre seguì in America Fermi la cui moglie era ebrea e dopo la guerra è tornato a Roma; Pontercorvo, invece, emigrò in Gran Bretagna e, a guerra finita, passò in Russia dove collaborò alla messa a punto della bomba atomica sovietica. Bruno Campagnano – Milano Pubblichiamo volentieri ringraziando per la precisazione. Incontriamoci a Città nuova, la nostra città Un articolo prima della tivù Ho 26 anni. Fino a poco tempo fa ero una persona tv dipendente. O meglio a qualsiasi ora del giorno, continuando a cambiare canale, riuscivo a trovare qualcosa da guardare, a volte andava bene persino la pubblicità. Un paio di anni fa mi sono interrogato sul mio rapporto con la rivista Città nuova. In quel periodo della mia vita nella pausa pranzo ero a casa da solo e dopo aver mangiato qualcosa in fretta accendevo la tv. Ho così pensato di prendermi un impegno preciso con me stesso: ogni giorno, prima di accendere la tv, avrei letto un articolo o almeno una pagina di Città nuova. Per la prima volta sono riuscito a leggere l’intero numero della rivista e, continuando nell’impegno, anche i numeri successivi. Dopo qualche mese non è più stato necessario forzarmi nel leggere perché trovavo negli articoli vari spunti utili per il mio vivere quotidiano in famiglia, al lavoro e più in generale nella società. Più di qualche volta mi è capitato di vedere le cose sotto un’altra luce e di poter rivedere qualche mia posizione o atteggiamento nei confronti di fatti, cose o persone. Generalmente sfoglio subito rapidamente tutta la rivista per vedere quali argomenti ci sono e in particolare cerco l’articolo di Paolo Crepaz sullo sport, mia grande passione. Poi nei giorni seguenti, per lo più sempre nella pausa pranzo, leggo il resto. Con la nuova impostazione che la rivista si è data quest’anno ho notato che le prime 20-25 pagine le leggo tutte d’un fiato e spesso prima dell’articolo sportivo. S.G. – Vicenza