La posta del direttore

I morti del sabato sera Anche lo scorso fine settimana decine di giovani sono morti per incidenti stradali di ritorno da discoteche e locali notturni nelle prime ore del mattino. Scrivo a nome di milioni di genitori che ogni sabato passano la notte in bianco in attesa che i loro figli ritornino a casa sani e salvi. Purtroppo i nostri politici non si decidono mai a regolamentare gli orari di questi locali; troppi sono gli interessi che ci stanno sotto. Ma noi abbiamo il diritto di proteggere i nostri figli… È tempo che qualche partito si faccia portavoce delle nostre istanze in Parlamento tenendo conto che anche la maggior parte dei giovani nei sondaggi si sono detti favorevoli ad anticipare l’apertura e la chiusura dei locali notturni. Goran Innocenti Si sono versati fiumi d’inchiostro su questo argomento. Anche Città nuova partecipò a suo tempo a questa campagna di sensibilizzazione. Qualche provvedimento venne preso, ma, come si vede, non è bastato. In realtà si fa più chiasso per un cane abbandonato che per le stragi del sabato sera. Aggiungiamo volentieri la nostra goccia al fiume di proteste dei genitori in ansia e consigliamo loro di far capire in qualche modo ai propri rappresentanti in Parlamento che queste istanze hanno anche un peso elettorale. Forse è l’argomento più convincente. Però, al momento del voto, dobbiamo ricordarci di questo impegno: se cioè sia stato mantenuto o disatteso. Ungheria basta menzogne Possibile che la protesta contro il governo ungherese si prolunghi ormai da più di un mese sulle piazze, nonostante la violenta repressione della polizia? È vero, della protesta hanno profittato i soliti picchiatori che allignano ovunque, anche da noi in Italia, ma sono stati isolati, perché quella della folla di Budapest è una protesta assolutamente non violenta. Cosa sta succedendo veramente? . Remo Rubini Penso che nessuno avrebbe voluto guastare la festa del cinquantenario della rivolta. Ma la provocazione è stata troppo forte. È in vita ancora troppa gente che non può dimenticare il ’56 e a buon diritto. Sai dove mi trovo? – mi sono sentito rispondere da un amico ungherese che ho interpellato per telefono -: sono sul confine austriaco, e precisamente in cima ad una torretta della polizia da dove ci sparavano addosso la notte in cui anch’io riuscii a varcare il confine. Se mi avessero catturato, nel migliore dei casi sarei finito in Siberia. Per me è stato un vero pellegrinaggio tornare qui dove cinquant’anni fa lasciai la mia patria, gli affetti – non avevo ancora diciott’anni – per entrare in un mondo a me ignoto. Ora però, proprio mentre accadono questi fatti, non posso non riflettere: cos’era maggiormente ripugnante nel sistema che ci opprimeva? Certo eravamo ancora occupati da una potenza straniera che si serviva di una parte dei nostri connazionali per opprimerci e derubarci. Ci aveva imposto una ideologia a noi estranea con la promessa di un benessere che non giungeva mai. Ma ciò che era più sconvolgente era che tutto quel sistema si reggeva su una grande, immensa menzogna. È stata questa catena infinita di menzogne che ha corroso il comunismo sovietico, facendolo alla fine implodere su sé stesso come una immensa struttura marcia. Questo, solo chi ha vissuto sotto quel regime può capirlo veramente. Solamente nei Paesi delle democrazie occidentali si poteva ignorare o fingere di non sapere cosa si nascondeva dietro quel muro. Che finalmente nell’89 crollò. Nell’ebbrezza della libertà ritro- vata, nei Paesi come il nostro, ritornati a disporre del proprio destino, l’esperienza vissuta, per quanto tragica, venne rimossa. Neppure si è dato luogo ad una caccia agli aguzzini di ieri. Ora, dopo un quinquennio guidato da un governo di centro, abbiamo avuto un governo di sinistra, guidato da un personaggio uscito dagli apparati del vecchio regime, e tuttavia divenuto in pochi anni uno degli uomini più ricchi del Paese. Alle ultime elezioni ci si attendeva un ricambio, che però non c’è stato. Mentre è venuta a galla, inopinatamente, quella famosa registrazione in cui egli stesso dichiara ai suoi di avere mentito spudoratamente al Paese per potere vincere. Questa goccia ha fatto traboccare il vaso. Perché tutto si può tollerare in Ungheria, fuorché ripiombare sotto un regime che faccia della menzogna il punto di forza del proprio potere. A questo gli ungheresi non vogliono rassegnarsi più. Tant’è vero che nelle successive elezioni amministrative il verdetto popolare è stato chiarissimo, avendo assegnato alla coalizione di centro, oggi all’opposizione, ben 18 province su 19. Tornerà la messa in latino? Nella nostra comunità, il parroco ha provato quest’anno a introdurre alcune preghiere in latino. La cosa è andata avanti per mesi. L’effetto è stato abbastanza surreale: lui e le suore che pregano in latino, e il resto della comunità che sta in silenzio o bofonchia qualche frase. Altri recitano sottovoce, ma in italiano. Non per mancanza di buona volontà, ma per una oggettiva difficoltà a seguire una funzione in una lingua non più nota. Effetto? Nelle domeniche successive, le altre chiese si sono popolate… a spese della nostra. Ho notato, dall’elezione del nuovo papa, un progressivo cammino verso la formalizzazione del rapporto uomo-chiesa-Dio, mentre, a mio modesto parere, la gente vuole una spiritualità comprensibile e vicina, che parli con la lingua del cuore, non un formalismo vecchio e lontano. Le nostre funzioni sono già infarcite di tante formule che pochi capiscono e che la gente recita come incomprensibili poesie, che andrebbero aggiornate per passare lo stesso messaggio, ma in modo più incisivo e comprensibile. Massimo Cardaci – Frascati Certamente lei non è il primo a esprimere questo lamento che però sarebbe giustificato se questo ritorno al latino fosse generalizzato, cosa che non credo sia. Fenomeno che, comunque, ove fosse in atto, non potrebbe durare perché sortirebbe un risultato non diverso da quello che lei ci ha descritto. Resta vero invece l’altro aspetto da lei lamentato, e cioè che certe formule, anche se tradotte, sono pressoché incomprensibili e andrebbero riproposte, per il significato che hanno, con spiegazioni adeguate, avendo fatto uno sforzo per adottare il linguaggio di oggi. Per non parlare poi del cosiddetto ecclesialese, così in voga anche fra i laici che hanno studiato teologia, e che con questo linguaggio da iniziati non si accorgono di diventare eccentrici, se non ridicoli. Convegni culturali per il 50° di Città nuova L’anno del 50° sta per concludersi. Ma, a detta di tanti, ci si sta prendendo gusto. In questo mese di ottobre appena trascorso, vari appuntamenti lo confermano. Alcuni della redazione sono stati invitati in varie città d’Italia a partecipare ad incontri organizzati dalle comunità locali del Movimento. A Bologna, il 1° ottobre, 300 i presenti, provenienti anche da Cesena, Forlì, Ravenna, Rimini. Confronto, dialogo, interrogativi e interesse intorno alle piste che Città nuova apre e che lettori, abbonatori e redattori stanno insieme percorrendo. Tornare alle origini del giornale e riscoprirne il senso oggi dopo 50 anni: questo il motivo dell’appuntamento con i nuovi lettori svoltosi a Trento, nel Centro Mariapoli di Cadine, il 18 ottobre. Particolarmente apprezzate le parole di chi ha sostenuto l’avventura della rivista fin dall’inizio. Intenso e vivo il dialogo a Padova il 20 ottobre con coloro che sono in prima linea nella diffusione del giornale. Particolare rilievo è stato dato al contributo che la rivista può offrire alla riflessione delle comunità locali che si interrogano su come incarnare il vangelo nella quotidianità. Analoga fisionomia ha assunto l’incontro a Pisa il 15 ottobre, dove la voce di alcune persone impegnate nel sociale ha sottolineato il particolare taglio con cui Città nuova affronta le tematiche di attualità. La Puglia, la Campania e la Basilicata hanno scelto il Centro Mariapoli di Benevento per invitare diverse persone durante gli ultimi due week-end di ottobre, alcune al loro primo contatto con la rivista. La riflessione sulle tematiche che ci caratterizzano ha accompagnato in modo trasversale i vari momenti del programma coinvolgendo i presenti nel progetto culturale della fraternità. Il 20 ottobre, nell’ambito delle manifestazioni della Settimana Mondo Unito che si è svolta in tutto il mondo, un gruppo di giovani di Brescia ha promosso l’incontro intitolato: Citizen4Unity: io per un mondo unito nella mia città. A dialogare con loro c’erano Savino Pezzotta, fino a pochi mesi fa segretario nazionale della Cisl, e Marco Fatuzzo, docente e dirigente scolastico, già sindaco di Siracusa ed esponente del Movimento politico per l’unità. Interlocutori privilegiati i giovani che hanno condotto con grande efficacia e spessore la riflessione moderata da Paolo Lòriga.

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons